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Punti di vista

Un pezzo di marmo ma non le panchine, non il dormitorio. E’ così che si incarnano vita e cuore e morte di don Roberto Malgesini?

Piccole domande, semplici, molto brevi.

Oggi l’amministrazione comunale – su giustissima spinta del vescovo di Como, Oscar Cantoni – ha intitolato lo spazio antistante la chiesa di San Rocco a don Roberto Malgesini, ammazzato esattamente un anno fa in quel punto. Targa in marmo, croce, celebrazione. Sotto la pioggia.

Più che l’indicazione toponomastica, non avrebbe anche dovuto l’amministrazione, chiediamo con molta serietà, rimettere quelle panchine brutalmente potate, sempre in quel punto esatto, per evitare assembramenti di senzatetto? Stranieri in prevalenza, inutile girarci intorno, gli stessi che don Roberto seguiva ogni giorno, ogni ora.

Iniziativa, l’eradicazione delle sedute, di un ex assessore e vicesindaco, Alessandra Locatelli, poi diventata ministro e ora assessore regionale lombardo.

Nella foto sopra c’è un sindaco, Mario Landriscina, in mano un ombrello, mentre guarda l’ennesima lastra che celebra un nome. E’ stato un anno fertile sul fronte delle intitolazioni di vie e giardini a Como, tutto corretto. Ma una lastra è fredda, inerte, senza colore. E’ una lapide, sta li, intanto intorno c’è un mondo.

Si sarà chiesto questo sindaco: basterà un pezzettino di pietra inciso e incastonato in una barra che si fissa a terra per restituire vita alla vita e alla morte di don Roberto?

Non si chiede un senso, piuttosto un gesto vero, attivo e non passivo.

L’autunno arriva e non si parla di dormitorio. L’anno è lungo e, se andrà di lusso, si discuterà di dormitorio al massimo ‘invernale’. Magari a gelo iniziato.

C’è una tale contraddizione, così tristemente illogica e priva di cuore, nelle azioni politiche di questa amministrazione che prova, male, a celebrare don Roberto.

Prima abbiamo pubblicato questa foto, davanti alla croce nuova fiammante un essere umano si distrugge nel dolore per la morte di Don Roberto:

No, non basta un pezzo di marmo, non bastano i simboli. Altrimenti è ipocrisia.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

7 Commenti

  1. Una targa e le panchine asportate. Mettendo a confronto questi due simboli materiali – immagini che più di tutto il resto riescono a raccontare quel pezzo di umanità contorta che si è consumata intorno a piazza San Rocco – il Direttorissimo ha colto nel segno.
    La tragedia di don Roberto e la questione dormitorio hanno segnato in maniera indelebile questi 4 anni di amministrazione Locatelli-Negretti (accrocchio politico che impropriamente chiamiamo ancora “giunta Landriscina”).
    Su questi due temi di “amministrazione pura” è emerso in maniera terrificante lo scarto che c’è tra “gestione della cosa pubblica” e “propaganda”.
    È ormai evidente come alla giunta non interessasse risolvere una criticità, quanto cavalcarla per un tornaconto assolutamente personale.
    La criticità c’era eccome; chiedetelo a chi abita in piazza San Rocco o vicino ai portici di San Francesco. Ma risolverla avrebbe significato prosciugare i pozzi del malcontento, far cadere la contrapposizione tra “noi” e “loro”.
    Eliminando le panchine, Alessandra Locatelli non ha risolto alcun problema ma si è conquistata un posto in paradiso, proiettata al di lá di ogni ambizione immaginabile nel gotha della politica italiana, come Ministro della Repubblica prima e assessore regionale poi.
    Il taglio delle panchine, il braccio di ferro sul dormitorio, non sono serviti a Como, sono serviti a lei soltanto.
    A noi è rimasta una città infettata di cattivismo, incapace di sostituire la paura con il coraggio, la propaganda alle soluzioni sul campo.
    Il Direttorissimo parla di “una contrapposizione illogica e priva di cuore”.
    Priva di cuore sì, ma traboccante di testa, di calcolo, di strategia e di tornaconto personale.
    Ma alla propaganda non interessa che le storie che racconta siano vere. Basta che funzionino.
    E se per un attimo fare i cattivi non convenisse più, anche una targa torna comoda per rifarsi il trucco.

  2. Una storia che si ripete: don Renzo Beretta in Curia e a Ponte Chiasso non era amato per la sua attività a favore dei profughi respinti dalla Svizzera. Il giorno dopo la sua morte per mano di un migrante è diventato un Santo.

  3. Non è sorprendente che Don Roberto, citato pubblicamente come esempio di virtù dal Papa, sia stato ricordato con una burocratica cerimonia sotto la targa di marmo che porta il suo nome. Quando un Testimone della fraternità evangelica è commemorato da un’onorevole eletto in città come vittima delle politiche dell’accoglienza, come dire chi è causa del suo mal pianga sé stesso, non ci si può sorprendere. La grettezza intellettuale non è frutto di una ideologia politica ma di scarsa educazione e pertanto si commenta da sé.

  4. Quanta ipocrisia, la sicurezza dei cittadini davanti al dilagare di certi fenomeni non importa, la citta’ invivibile ormai fuori controllo e la soluzione sono le panchine………qualcuno dovrebbe vergognarsi, e non aggiungo altro….ma ce ne sarebbe !!!!!!

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