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Attualità, Sanità

Como, Ospedale Sant’Anna: “20 ore in pronto soccorso ma io ringrazio il personale. Tra professionalità e sorrisi in mezzo alle difficoltà”

La situazione della sanità pubblica è molto complicata in Lombardia come a Como e senza dubbio le numerose testimonianze di disagi e disservizi raccolte da questo e da altri giornali sono reali e circoscrivono un problema ben noto spessissimo denunciato anche dalle minoranze consigliari in Regione.

In tutto questo però è positivo raccogliere racconti diversi che completano l’orizzonte in cui si muove il dibattito. E il caso di una lettrice di ComoZero che è stata per 20 ore in Pronto Soccorso all’ospedale Sant’Anna a causa di un malore del padre. Un osservatorio speciale che ha permesso alla donna di guardare prima e giudicare solo poi. Ne nasce il resoconto di una notte difficile per i pazienti, vero, ma anche per il personale che si prodiga al meglio per il benessere di tutti e per sopperire a tutte le mancanze del sistema sanitario nazionale. Sorrisi, professionalità, gentilezze e, cosa non comune, il profondersi in scuse per i tempi di attesa.

Piccolo gesto si dirà. Forse, ma si tratta di quel gesto, di quel tipo di empatia che portano alle parole che state per leggere, ripetiamo non meno importanti delle tante e giuste lamentele di cui dicevamo sopra. Ma la lettera che pubblichiamo completa e perfeziona l’ordinario racconto del malcontento dei cittadini.  [Per contributi, segnalazioni, reazioni e opinioni: redazionecomozero@gmail.com, il numero Whatsapp 348.6707422 o la pagina dei contatti]

Ecco la testimonianza integrale:

Nel 2018 vi ho raccontato la mia serata al P.S. del Valduce fra malati e senzatetto (trovate qui l’articolo, Ndr). Oggi condivido con voi la mia esperienza di un fine settimana al pronto Soccorso del Sant’Anna.

Sabato sera mio papà ha avuto un malore che ci ha visti costretti a chiamare il numero unico di emergenza il 112. Dopo le prime valutazioni del caso è stato inviato al S.Anna per ulteriori accertamenti e qui è iniziato il nostro fine settimana al P.S. Siamo arrivati verso le 23.30 con ambulanza e ne siamo usciti dopo le 18.30 della domenica. A differenza delle tante lamentele pubblicate per le lunghe attese, questa mia vuole essere un plauso agli operatori sanitari che lavorano presso il P.S. a vario titolo, nonostante mio papà sia stato visto dal medico alle 9 della domenica mattina, quasi 10 ore dopo il nostro arrivo.

Dato che permettono ad un familiare di restare accanto al paziente, posso testimoniare la mia nottata al P.S. nel corridoio del triage, pieno zeppo di barelle con malati di tutte le età, per le situazioni più disparate. Un campionario di umanità delle più varie, dal paziente che russava a più non posso a quello che si lamentava in preda alle coliche, a quelli che potevano stare sulla sedia ed attendevano nella sala d’aspetto coi parenti monitorati a cadenze regolari, mentre i corridoi interni del P.S erano interamente occupati da lettighe.

Mi ha particolarmente colpito l’affaccendarsi del personale, molto giovane, sempre sul pezzo con un sorriso per tutti, scusandosi per l’attesa ma, ahimè, c’era un solo medico di guardia. A un certo punto un’infermiera mi ha avvertito che l’attesa si sarebbe prolungata causa arrivo imminente di situazioni critiche di emergenza.

E anche questo sabato sera sono giunte in ospedale vittime di accoltellamento, diventata ormai “l’ultima moda del sabato sera”. Il personale quindi ha dovuto allestire immediatamente le sale per l’accoglienza dei feriti senza tralasciare le necessità di chi attendeva sulle lettighe, la cui priorità è scesa di livello rapportata ai nuovi arrivati. La lunga attesa, complice l’assopimento di mio papà, mi ha permesso di riflettere su queste scene che superano di gran lunga quelle narrate in E.R., Grey’s Anatomy, etc. Ho cercato di capire cosa spinge ragazzi giovani, apparentemente sani, con tutta la vita davanti, a mettere in atto azioni atte a sopprimere o compromettere gravemente le vite di altri, spesso coetanei.

E da presidente di un’associazione di malati rari, che non godono neppure di presa in carico, che hanno la vita pesantemente limitata dalla malattia loro malgrado, fatico parecchio a comprendere questa violenza apparentemente immotivata, questo distruggere e distruggersi la vita. Queste situazioni, così come i malori per abuso di sostanze hanno ripercussioni sulla società in generale a causa dei costi per le cure del caso, ma hanno delle pesanti ripercussioni su chi aspetta in P.S. che vede dilatarsi all’infinito i tempi di attesa, che incrementa il nervosismo del malato e dei loro accompagnatori che unito alla preoccupazione diventa un mix incandescente, ma com’è giusto che sia l’attenzione va ai nuovi arrivati ed è così che chi ha terminato il turno di notte da il cambio ai colleghi scusandosi con i malati che ancora attendono. Qualcuno si spazientisce, minaccia di andarsene mentre c’è chi è dimesso ma non potendo rientrare al domicilio autonomamente non trova un’ambulanza disponibile per tornarsene a casa e attende ore per trovarne una disponibile.

E in questa umanità così variegata non mancano alcuni pazienti psichiatrici, “habitué” conosciuti da tutto il personale , ognuno con i suoi rituali, con la richiesta di attenzione ripetuta ad oltranza, con le guardie presenti pronte ad intervenire se necessario, ma che calmano gli animi con il dialogo e la comprensione e così si fanno le nove del mattino e finalmente la visita la prescrizione degli accertamenti fatti in tempi brevi, i monitoraggi ripetuti a cadenze regolari, nel frattempo un via vai di ambulanze, malati incolonnati all’ingresso col personale delle ambulanze che li assistono perché dentro è più che pieno e ci sono malati in ogni angolo. Il personale si muove veloce e competente con gentilezza e col sorriso. Il medico attento e scrupoloso si scusa anche lui per l’attesa.

E finalmente per noi arrivano le dimissioni dopo quasi 20 ore… Termina così il nostro fine settimana in quel mondo parallelo che è il P.S., un’esperienza decisamente forte, tra la preoccupazione per il proprio caro, il tempo che passa al rallentatore perché la notte sulla sedia non è il massimo, ma meno male che c’è la sedia e che posso stare accanto a mio padre.

Quando il medico mi consegna le dimissioni, dopo essersi consultato con il medico che già segue mio padre che fortunatamente è di guardia nel suo reparto, non mi lamento per l’attesa ma ringrazio lui ed il personale per tutto ciò che fanno in condizioni così complesse. Eh sì perché è facile lamentarsi e pensare che un paese civile dovrebbe attenzionare chi si rivolge al P.S, in tempi brevi, ma basta passare una notte al triage, basta non essere concentrati solo su se stessi ed allargare la visuale per vedere che il personale si arrabatta cercando di attenzionare tutti, con professionalità ma è numericamente insufficiente per la mole di lavoro che c’è. Le code al P.S. a mio avviso sono solo i “nodi che vengono al pettine” in un S.S.N. impoverito e demolito da scelte poco oculate, da investimenti scarsi e mal gestiti Dda problematiche psichiatriche che richiedono una presa in carico forse più articolata e completa di quella attuali, da una medicina del territorio insufficiente che incrementa i fruitori del P.S.. Un plauso quindi agli operatori sanitari che si spendono sempre e comunque a favore della vita nonostante le difficoltà.

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Un commento

  1. Una lettera garbata, un doveroso ringraziamento agli operatori. Una bocciatura del Sistema sanitario non troppo sottintesa. Perché i codici verdi devono essere visti , anche se dopo ore, dal ( magari unico) medico del PS? Perché non si mette a disposizione, a turno, un medico di famiglia che alleggerisca gli accessi? Semplice, perché di medici di famiglia non ce ne sono abbastanza per la normale attività, figuriamoci farli turnare in PS ( contratti nazionali a parte).
    Perché non ci sono medici di famiglia? Perché i medici sfornati dalle università sono pochi rispetto al fabbisogno ( numero chiuso, ma chiuso chiuso, non stabilito periodicamente in base al fabbisogno). E come mai i pochi che escono difficilmente scelgono di non fare il medico di famiglia? Perché i pochi fortunati ammessi prendono la specialità, altra cosa di cui c’è bisogno come l’aria. Ma non solo la passione per la scienza e’ alla base di questa motivazione: la libera professione attira di piú e va di gran moda, specie negli ospedali pubblici. Ricordo quando era in vigore il sistema delle compartecipazioni: chi lavorava di più, più guadagnava. No, non andava bene ( c’erano forti disparità di compensi tra un medico e un altro). Allora alziamo gli stipendi a tutti? No, non ci sono i soldi. E allora via, tutti i medici diventano dirigenti ( legge Bindi) con possibilità di libera professione intramuraria. Così l’aumento glielo daranno i mutuati, ma come ovvio la motivazione a dare il massimo in ospedale nelle ore “pubbliche” in tanti viene meno, perché poi c’è la libera professione che impegna. Morale: occorre riformare il sistema dalle radici, cosa quasi impossibile da parte di qualunque governo, per via delle resistenze corporative, che si dimostrano nei fatti contrarie a ogni cambiamento Ma sto diventando troppo lungo quindi concludo con: meglio stare sani…

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