E poi, a rompere la magia natalizia del “siamo tutti più buoni” arriva la Fondazione Scalabrini. O forse no. Forse siamo davvero tutti più buoni ma post come quello pubblicato oggi sulla loro pagina servono a ricordarci che la bontà può avere tante forme. E che a volte bisogna solo saper scegliere quella giusta.
“Siamo persone orribili e, a feste finite, è arrivato il momento di ammetterlo – si legge – trenta delle scatole raccolte grazie all’iniziativa Scatole di Natale le abbiamo ricevute noi. Poi abbiamo fatto una cosa imperdonabile: le abbiamo aperte”.
Perché? Cosa mai potevano contenere di tanto sbagliato delle innocenti scatole di Natale preparate con grande generosità da migliaia di comaschi?
“L’abbiamo fatto perché il detto ‘A caval donato non si guarda in bocca’ non vale se quel cavallo può ferire chi lo riceve – prosegue i post – e tra rispettare il sacro diritto di donare quello che si vuole e il rischio di ferire un bambino o la sua mamma con qualcosa che sapesse di carità e non di regalo, abbiamo scelto ancora una volta di proteggere loro, i più deboli. E quello che abbiamo trovato in quelle scatole è l’occasione per dirvi grazie di cuore ma anche per spiegarvi (e lo facciamo con tutta la tenerezza possibile, credeteci) che non avere niente non equivale sempre a dover accettare tutto. Quindi grazie per la cura, i doni scelti come per un amico, i disegni dei vostri bimbi e i biglietti gentili. E scusateci se abbiamo scartato i giocattoli sporchi, i peluche infeltriti, i vestiti logori e se siamo corsi a comprare al volo qualcosa con cui riempire la vostra scatola”
Poteva finire tutto lì, nessuno sarebbe mai venuto a saperlo “e vissero tutti felici e contenti”. Allora perché dirlo, con il rischio di passare per ingrati e magari non essere capiti?
“Le scatole sono una cosa bella e le cose belle meritano attenzione – spiega la presidente della Fondazione Francesca Paini – e noi abbiamo voluto dare attenzione ad ognuna di quelle trenta arrivate a noi prima che venissero portate ai loro destinatari. Non ne abbiamo buttata via nessuna, sia chiaro, perché sappiamo che tutte erano fatte con le migliori intenzioni. Abbiamo però fatto delle scelte per valorizzare il contenuto di alcune, perché noi non siamo semplici postini, avevamo la responsabilità di fare in modo che quel dono fosse una cosa bella anche per chi lo riceveva”.
E tra i tanti messaggi di approvazione, è arrivata anche qualche critica: “Mi dispiace se qualcuno si è sentito ferito ma il nostro messaggio non è una critica bensì un appello a tutti, noi compresi, a fare attenzione ai gesti perché non tutti hanno la stessa valenza – spiega Paini – noi stessi abbiamo preferito far trovare i pacchetti fuori dalla porta delle case invece che consegnarli a mano perché volevamo che fossero davvero doni, non carità. Perché, come diceva il sociologo Danilo Dolci, ‘Ciascuno cresce solo se sognato’. Ecco lo scopo del nostro messaggio: un invito a non pensare che chi ci sta davanti è una persona in difficoltà bensì una persona che ce la sta facendo”.
“È sottile e delicata la linea tra dono e elemosina, sappiamo che è difficile ma tocchiamola piano”, è l’invito finale della Fondazione Scalabrini. Un verbo al plurale che non è un caso perché, sull’onda dell’emotività, è facile per tutti dimenticarsi di farlo. E allora ben venga chi ce lo ricorda in barba al politically correct.
4 Commenti
Avete fatto bene, chissà quanto soffrono le persone che aiutate e trovarsi di fronte a una cosa buttata dentro solo perché vecchia e sporca era veramente brutto
Siete persone attente, tutt’altro che orribili. Avete fatto benissimo. Grazie di esserci.
Non sono stupita
L’idea della scatola della solidarietà mi ha fatto sorridere.
Quante volte in Caritas arrivano cose sporche e logore
Gli indiani d’America al prossimo davano le cose migliori. E sono stati sterminati
Senza leggere l’articolo avevo pensato male, leggendolo invece mi sono ricreduto. Belle parole, bei concetti, bella azione. I miei complimenti all’associazione, al tatto e alla devozione. Spero faccia pensare molti.