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L’inchiesta di Greenpeace: “Anche nel Comasco acqua potabile contaminata dai Pfas”. I dati

In Lombardia nell’acqua destinata al consumo umano sono presenti PFAS (composti poli e perfluoroalchilici), sostanze chimiche artificiali altamente persistenti prodotte da alcune attività industriali. Si tratta di un ampio gruppo di molecole (oltre 10 mila) associate a numerosi impatti sulla salute, tra cui alcune forme tumorali, talmente pericolose che diversi Stati in Europa hanno deciso di chiederne la messa al bando. Per rispondere a richieste crescenti della popolazione, Greenpeace Italia, tramite istanza di accesso agli atti, ha ottenuto i risultati di analisi fatte dai gestori e dalle autorità sanitarie lombarde su campioni di acqua destinata ad uso potabile. I risultati evidenziano un quadro allarmante: in Lombardia è stata registrata la presenza di PFAS in quasi il 20% delle analisi condotte dalle autorità a partire dal 2018. E per quanto riguarda il Comasco, l’area d’allerta è quella di Mariano Comense e Canturino (qui la prima tabella, qui la seconda tabella).

 

In diversi casi, dice Greenpeace, le autorità erano al corrente da anni di questa contaminazione, eppure non risultano campagne informative rivolte alla popolazione, che non è stata quindi avvertita dei rischi a cui è esposta.

È quanto ha scoperto l’Unità Investigativa di Greenpeace Italia in un’inchiesta condotta grazie all’invio, tra ottobre 2022 e gennaio 2023, di numerose richieste di accesso agli atti generalizzato (FOIA), indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) ed enti gestori delle acque lombarde. Grazie a questa campagna di trasparenza e di accesso all’informazione, per la prima volta è stato possibile visionare le analisi eseguite sugli acquedotti lombardi. E il risultato è sconcertante: si può dire con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini. Ma non solo: non si può escludere che queste contaminazioni stiano andando avanti tuttora.

Risultati principali
I PFAS sono un gruppo di migliaia di sostanze chimiche di sintesi prodotte dalle industrie. Dove li troviamo? Dai cosmetici ai capi di abbigliamento impermeabili, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi in carta. Presenti in numerosissimi prodotti di uso comune, ma anche protagonisti di diversi processi industriali, i PFAS sono notevolmente pericolosi per noi e per l’ambiente. Infatti, l’esposizione a queste sostanze è stata associata a una serie di effetti negativi sulla salute. Problemi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, riduzione del peso alla nascita dei neonati, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo e riduzione della risposta immunitaria ai vaccini, diabete gestazionale, impatto negativo sulla fertilità, oltre che alcune forme tumorali come il cancro al rene e ai testicoli. Sono le persone fragili, i bambini e le donne incinte a pagare il prezzo più alto dell’esposizione a queste sostanze.

Pericolosi sì, eppure ampiamente utilizzati grazie al fatto che in Italia non esiste una legge che ne vieti la produzione e l’utilizzo. Ma vi è di più: nonostante diverse nazioni in Europa (Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia) abbiano chiesto di vietarne uso e produzione, e in Veneto ci sia il più grave caso di contaminazione da PFAS del continente europeo, in Italia queste sostanze non sono attualmente inserite tra i parametri da monitorare nelle acque destinate al consumo umano. Inoltre, nei casi in cui vengono eseguite delle indagini, i parametri di riferimento sono quelli stabiliti dal Ministero della Salute nel 2014, che però non sono a tutti gli effetti dei limiti di legge nazionali. Finora, quindi, è stata effettuata una ricerca discrezionale da parte dei gestori e delle ATS che diventerà obbligatoria solo nei prossimi anni grazie al recepimento delle Direttiva comunitaria 2020/2184 con Decreto Legislativo n. 18 del 23 febbraio 2023.

In poche parole, gli enti gestori delle acque al momento non sono obbligati a verificarne la presenza nei nostri acquedotti. Eppure, diversi enti pubblici lombardi da qualche anno hanno iniziato a monitorare queste sostanze pericolose, seppur attraverso analisi a campione. Così, visto che l’acqua è tra le principali fonti di esposizione dei cittadini a queste sostanze, Greenpeace Italia ha chiesto e ottenuto i risultati di questi campionamenti per realizzare la prima mappa che mostra la presenza di PFAS nelle acque lombarde ad uso potabile.

Gli enti hanno consegnato a Greenpeace Italia i risultati di analisi realizzate tra il 2018 e il 2022 su quasi 4 mila campioni; di questi, 738 (il 18,9%) è risultato positivo alla presenza di queste sostanze. Da evidenziare che il numero di punti della rete acquedottistica contaminati indicato nella mappa è notevolmente sottostimato a causa delle analisi parziali condotte dagli enti. Infatti, per i Comuni che non risultano presenti nella mappa non ci sono stati consegnati dati in merito al monitoraggio dei PFAS; anche per quelli presenti, salvo alcune eccezioni, le analisi sono spesso una tantum e non conseguenza di indagini capillari e sistematiche. Come a dire che una larga parte dell’inquinamento in Lombardia resta ancora sconosciuta.

Dando uno sguardo alla contaminazione rilevata per province, la maglia nera spetta alla provincia di Lodi, con l’84,8% dei risultati dei campioni ricevuti da Greenpeace Italia positivo alla presenza di PFAS; a seguire le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2% dei campioni contaminati. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive. Tuttavia, in termini di numero di campioni con presenza di PFAS, la provincia di Milano – dove a onor del vero sono stati fatti più campionamenti rispetto ad altre aree – ha il triste primato di averne rilevati 201, seguita dalla provincia di Brescia (149) e Bergamo (129).

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4 Commenti

  1. da parte di Greenpeace non è specificato, lasciando intendere il contrario, che quando l’acqua arriva al ns rubinetto è potabili e sicura e che non si corre nessun rischio (un comportamento omissivo e opaco che spesso queste organizzazioni imputano ad altri, ma praticano pure loro)

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