In più di un’occasione si è detto che il calo nel numero dei frontalieri, appena certificato dalle statistiche, potrebbe in parte dipendere anche dal nuovo regime fiscale introdotto dal luglio del 2023. Una tassazione che ridurrebbe i vantaggi di lavorare in Svizzera.
Se questo è sicuramente un tema sul tavolo, ben più concreto sembrerebbe invece lo sguardo al futuro rivolto da Stefano Modenini, direttore dell’Associazione delle industrie ticinesi (Aiti) che, in una recente intervista a Italia Oggi, spiegando come forse potrebbe essere prematuro addebitare la diminuzione dei lavoratori frontalieri all’accordo fiscale ha invece evidenziato un altro elemento più concreto. “Le nostre preoccupazioni sono rivolte al medio e lungo termine e non alla situazione immediata – ha detto al quotidiano economico Modenini – Dei circa 16mila frontalieri occupati nell’industria ticinese almeno la metà ha più di 50 anni. Ciò significa che entro pochi anni avremo una mancanza di personale che solo in una certa misura potrebbe essere sostituito dai lavoratori locali».
Certo, oltre a questo elemento, è stato poi anche rimarcato come magari il nuovo regime fiscale potrebbe spingere i potenziali frontalieri a non ritenere più opportuno andare in Svizzera anche solo per il fatto di trascorrere magari due e più ore in auto per spostarsi da casa al posto di lavoro.
Va infine ricordato come l’intesa sottoscritta tra Italia e Svizzera prevede che i “nuovi” frontalieri paghino le imposte sia in Italia sia in Svizzera, rendendo meno attraente il posto di lavoro in Ticino, dove la maggior parte dei frontalieri arriva dalla Francia (58%), seguita da Italia (22%) e Germania (16%).