“Se Como non inizierà a preservare le botteghe commerciali e artigianali e le trattorie rischia di perdere la propria identità, ed è importante subito affrontare il passaggio generazionali nelle imprese, soprattutto nel commercio” sono parole di Marco Cassina, la sua famiglia da sempre rappresenta come poche altre il settore dell’abbigliamento di fascia medio-alta a Como. Marco da anni è presidente di Federmoda Como di Confcommercio e consigliere nazionale.
Più della concorrenza degli outlet, con società che arrivano a prendere i turisti negli alberghi con le navette, più dell’ecommerce, del Black Friday e della data dei saldi, la preoccupazione di Cassina è relativa all’identità del distretto dello shopping di Como. Distretto che si identifica con il centro storico di solito, c’è infatti un rischio di spersonalizzazione.
“Un po’ di turnover c’è sempre – commenta Marco Cassina – ma oggi inizia a soffrire l’attività tradizionale nel settore del commercio, ogni volta che chiude una bottega, un alimentari, un negozio di abbigliamento, che si spegne un’insegna storica è una sconfitta per Como e anche per il Lago di Como, perché questo fenomeno interessa tutto il territorio. Il turista vuole ancora il negozio. Lo spazio monomarca lo trova anche a casa sua o in aeroporto, qui a Como cerca qualcosa di tipico, come avviene in altre città”
Può fare qualche esempio?
Arrivo da un viaggio a Ferrara, che non è certo una destinazione di charme come Como, la possiamo definire una secondary destination, eppure è un brulicare di attività commerciali e locali gestiti anche da giovani, ma ciascuna con caratteristiche non omologate ad altro. A Parigi c’è una tutela altissima riguardo le realtà commerciali storiche e questo crea l’identità di una città, che non può venire dispersa. A Zurigo, che forse è un esempio più vicino a Como, visto che le vie dello shopping sono in un unico quartiere, avviene lo stesso. A Parigi e in Svizzera tra l’altro la domenica i negozi sono chiusi per legge. Eppure hanno creato un meccanismo virtuoso per tutelare il commercio locale e le attività storiche.
Cosa dovrebbe fare la politica a Como e cosa non fa?
A Como abbiamo un assessore al Commercio che conosce come pochi altri il settore (Michele Cappelletti che per anni ha gestito il negozio di famiglia in centro ndr), sono convinto che metterà a frutto la sua esperienza per lavorare nei prossimi mesi, noi siamo a disposizione a dare un mano come sempre. Però qui si deve lavorare a livello regionale e nazionale, proprio anche sulla tutela delle attività storiche, si devono favorire le locazioni in base anche all’insediamento di un servizio. Un piccolo imprenditore non potrà mai competere contro i grandi gruppi. Anche sugli orari. In bottega il titolare lavora sempre. Da quando ci sono le aperture domenicali la saracinesca la tiene aperta il titolare, che, se ha dei dipendenti, li lascia a casa. Anche per questo tante volte i figli di chi ha un’attività commerciale, memori dei sacrifici dei genitori, si spostano su altro, e cedono. Oggi è anche raro che a subentrare sia un dipendente a mandare avanti un negozio storico.
Como mantiene uno sviluppo poco omogeneo a livello commerciale, alcune vie appena fuori dal centro storico sono perse per sempre? Penso a via Milano alta, a via Manzoni…
Non è detto. Pensate a via Diaz, ci sono voluti anni, ma oggi è rifiorita, è bellissima. Certe volte basta che parta un imprenditore capace per fare aggregazione. Certo, con il mondo del food questo è un po’ più semplice, sul commercio tradizionale un po’ meno, ma la partita non è persa. Abbiamo davanti ancora anni di presenze turistiche importanti, credo che chi programma investimenti a Como ne dovrebbe tenere conto. Però, anche la politica, deve fare il suo anche a livello comunale, con incentivi, bandi, dialogo e strategia.
Come sarà lo shopping natalizio del 2023?
Il 2022 è stata un anno molto vivace, ma arrivavamo anche dal Covid. Quest’anno non credo vi saranno gli stessi volumi, ho fatto un’indagine anche tra colleghi, nessuno si aspetta fuoco e fiamme sotto Natale per una serie di motivi, dall’inflazione all’inverno ritardato. Solo in questi giorni abbiamo messo la giacca più pesante. Sono fattori che incidono. Il Black Friday, per chi lo ha fatto, ha avuto una tiepida accoglienza. Anche i saldi hanno perso la loro forza mediatica. Oggi abbiamo negli occhi e nella testa lo sconto da gennaio a dicembre. C’è chi aveva chiesto anche il posticipo del periodo, si è deciso di mantenere l’avvio il 5 gennaio, data unica, ma forse lo stesso messaggio ha perso un po’ della sua forza.
12 Commenti
Se i negozi storici e l’identità di Como sono posti in cui non puoi spendere meno di 200 euro per un paio di scarpe, ben vengano i negozi monomarca omologati… Qua non si cerca di difendere alcuna identità, qua si difendono solo fatturati.
Credo che ultimamente a Como mancano soprattutto i negozi di fascia media, si passa dai negozi “China” a negozi dove ci vogliono 3000 euro e più per un cappotto…..poi se la gente va nei centri commerciali facciamo i una domanda….direi ok per la chiusura domenicale ma chiamare città turistica una Como dove i negozi aprono non prima delle 10.30 e chiudono alle 19.00 dopo laver fatto pure la pausa pranzo….mah!
Siamo passati dal “privato è bello” degli anni 80-90 al privato è bello solo se è caratteristico della città che lo ospita, se è piccolo, se è comasco, se è …., insomma, se è mio. L’economia di mercato ha leggi durissime. Se si vendono le stesse merci a prezzi più alti si è destinati a chiudere. Poi ci sono quelli che queste leggi non le rispettano per motivi ideologici, “compro solo nazionale” per esempio; o quelli che si svenano solo per far vedere agli amici che comprano in certi negozi del centro; oppure quelli che per far dispetto ad Amazon comprano al doppio nel negozio dietro l’angolo. Negli anni ’80 e ’90 con il mito del “privato è bello” sono state dismesse moltissime industrie “decotte”, mandati in cassa integrazione decine di migliaia di operai, massacrate migliaia di famiglie. I commercianti continuarono a comprare dove costava meno, gli industriali continuarono a delocalizzare dove costava meno….allora sì che “privato era bello”!
Non capisco perché si parli tanto di on line e di Amazon in questi commenti, Cassina sta parlando di abbigliamento, alimentari e trattorie… sono ancora settori dove la stragrande maggioranza della clientela acquista muovendosi di persona.
Non capisco….i vecchi negozianti sperano che il commercio si sia fermato agli anni 80/90?? Ora se non apri alla domenica sei tagliato fuori, se non adegui il negozio alle attuali tendenze sei tagliato fuori. E’ finita l’era di decidere e imporsi al consumatore il quale non è più sprovveduto. Se ne facciano una ragione! Spero che in centro storico aprano al più presto i vari Zara, h&m, ecc. perché Como ormai ha un flusso enorme in modo che finisca la lobby creata dalle solite famiglie di commercianti compresa quella del Presidente di Federmoda che si lamenta essendo preoccupato per il suo business!
Bello leggere che i supermercati sono il futuro, tipo disco rotto dagli anni 80. Fa piacere che Lulu non abbia notato che il presente è l’acquisto online, i negozi sono il passato… però ecco, non sarei così secco sul futuro: magari riusciamo anche a trovare una convivenza tra artigiano e prodotto industriale, perché si può affermare che in certi settori non si batte ancora l’artigiano in qualità. Detto questo.. mi fa ridere questo articolo: 25 anni fa si parlava di globalizzazione e a difendere i negozi in via Diaz ti davano del no global. Tutto cambia, niente cambia!!!!
A Como ci sono solo negozi di abbigliamento carissimi, per quale motivi non sia mai riuscita ad arrivara Zara è un mistero, per esempio.
Le persone comprano on line piuttosto che andare in centro dove non c’è parcheggio ed i negozianti a volte sono pure scostanti.
Non si possono vietare le aperture dei negozi. È giusto il rinnovamento delle attività. Le botteghe storiche chiudono perché non sono più competitive. I centri commerciali sono il futuro, questa è la realtà.
Beh, non è molto vero, soprattutto in Italia fatta prevalentemente da piccoli paesini e borghi, con peculiarità artigianali e di alta qualità, in tutti i settori.
Negli Stati Uniti, che anticipa in negativo e positivo quello che succede da noi, i grandi centri commerciali stanno pian piano chiudendo e diventando cattedrali abbandonate nel deserto.
Basterebbe per
decreto legge, che si può fare in una giornata, decidere di far pagare a tutte le attività storiche le stesse imposte che pagano Ammazxon e tutti i loro anici di merenda….. lo 0,000000… perché, per chi non lo sa, questi baracconi riescono a essere a CREDITO D’IMPOSTA…
Ma, ovviamente, i vari Ammazxon e compagnia brutta mai e poi mai saranno obbligati a pagare il giusto.
Tutto questo è possibile grazie alla sostanziale complicità della politica.
Esatto bravo condivido
Ottima idea, in effetti vedevo i vari Butti e Tessabit un filo in difficoltà economica…