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Como ha perso una delle sue anime più pure, tormentate e geniali: addio a Mario Marangio, il pittore. “Il suo talento come un Caravaggio, ombra e luce”

Oggi Como ha perso una delle sue anime più pure, tormentate e geniali. E’ mancato infatti Mario Marangio, “Mario il pittore”, come lo chiamavano i tanti comaschi che lo vedevano girare per la città con le sue tele sottobraccio, quasi fossero un prolungamento del suo corpo e del suo cuore.

Un artista vero, di quelli che non cercano le luci ma si raccontano in penombra, affidando al pennarello nero il compito di parlare al posto loro. E parlavano forte, i suoi disegni: monumenti, figure religiose, animali prendevano vita da un intrico ipnotico di linee nere, come se il dolore e la bellezza si rincorressero all’infinito su un’unica tela.

“Storia di M, che dà del tu alla Morte ricordandole la Bellezza nonostante la fatica di vivere”. Così il suo amico Flavio Bogani aveva immaginato il titolo per un articolo che gli sarebbe piaciuto potesse essere scritto quando Mario era ancora tra noi. Ma anche quella volta avevamo scelto di non farlo, come ogni volta in cui, incrociando il suo sguardo su un marciapiede, ci era balenata l’idea di raccontarlo davvero, ma non l’avevamo mai fatto per rispetto per una vita fragile e tormentata che lui aveva scelto di vivere.

Perché Mario stava ai margini, non per timidezza come sa chi ha avuto occasione di parlare con lui, ma per scelta. Viveva lontano dai riflettori, abitava l’ombra con la grazia di chi sa che la vera luce si accende dentro. E dentro di lui, dietro quello sguardo vivido e sfuggente, c’era un intero universo.

Inutile quindi, raccontare ora la sua vita e le tante difficoltà che l’hanno costellata, fino all’ultimo. Qui basterà ricordare che quel piccolo uomo minuto seminascosto dalle sue enormi tele è riuscito nel più grande capolavoro immaginabile: trasformare il dolore in bellezza.

Quelle di Mario, infatti, non erano semplici opere di un artista di strada. Erano confessioni visive, piccole autobiografie che parlavano del suo passato e del suo presente che non gli hanno mai fatto sconti. Un realismo visionario a tratti simile all’espressionismo grezzo di Jean-Michel Basquiat o al caos emotivo raffinato di Cy Twombly: artisti che, come lui, usavano la linea per urlare e curarsi insieme. O, semplicemente, espressione di un’anima che poteva restare un gomitolo scuro e pieno di dolore, ma che invece ha dato forma a una bellezza, una forza e una delicatezza uniche.

“Mario era un animo non facile, ma era geniale, di un realismo e di una sensibilità incredibili – è il ricordo di Bogani, amico di Mario che nella sua Bottega del Colore in via Milano andava a comprare tele e pennarelli – il suo talento era come un quadro di Caravaggio, fatto di forti luci e ombre altrettanto profonde. Nei suoi quadri c’era un mondo di rabbia, quasi fossero la visione della sua sofferenza. E la cosa più bella è che tanta gente gli ha voluto bene sapendo andare oltre la sua fragilità, perdonandogli i quadri promessi e a mai consegnati e il carattere non sempre facile. Per questo sono convinto che la sua non sia stata una vita sprecata, ma una vita vincente proprio per la sua intensità”.

“L’arte messa in mostra e lui, l’artista vero, che scompare sullo sfondo”, è il commento di chi ci ha messo a disposizione uno scatto in cui, dietro una delle opere della mostra dedicata l’anno scorso a Plinio il Vecchio, si intravede Mario seduto per terra sul sagrato di San Fedele con accanto uno dei suoi quadri.

Fai buon viaggio “Mario il pittore”, anima tormentata e potente, capace di ricordarci, con un semplice pennarello, che anche nel più grande dolore si nasconde un frammento di bellezza che merita di essere trovato.

 Se avete una delle opere di Mario vi invitiamo a scriverci a redazionecomozero@gmail.com. Ci piacerebbe ricostruire, almeno in parte, la sua eredità artistica.

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