“Prendiamoci un caffè!”
Il bar sport Lella, a Sala Comacina, è un crocevia di storie e leggende laghée. Persone e personaggi che appaiono e scompaiono dai vicoli freddi che si affacciano sul lago con il loro carico di racconti, custoditi gelosamente.
Di queste anime, gioviali e solitarie insieme, due mi accompagnano in questa insolita colazione: il cantautore Davide Van de Sfroos, 53 anni, al secolo Davide Bernasconi, e l’ex contrabbandiere e attuale gestore del locale Sergio Bordoli, per tutti Il Cimino.
Nel 2008 Van de Sfroos pubblica “Pica!”, suo quarto album, contenente il brano “La ballata del Cimino” ispirato proprio a Sergio. “Alcuni pensano che tu sia un personaggio immaginario!” ridacchia Davide.
“Lo so, lo so. Quattro anni fa – ribatte Cimino – sono stato operato alla carotide e l’infermiera non credeva fossi io quello della canzone. Le ho fatto fare una ricerca su internet. Sono entrato in sala operatoria con la canzone a tutto volume – racconta ridendo fragorosamente – e quando il ritornello diceva Arrenditi Cimino! Urlavo Mai!”.
(Intero Fotoservizio: Carlo Pozzoni)
E vale la pena riascoltare questa avventura.
“Dovevo portare le sigarette a valle – racconta Cimino, saldo nei suoi settant’anni portati con fierezza – c’era un motoscafo pronto a caricarle. Erano i primi anni ’60 e indossavo una polo con colori sgargianti, mi sono detto: meglio toglierla!”.
“In effetti – interviene Davide – non era il massimo per mimetizzarsi”
No, non era il massimo. I controlli dei finanzieri, armati di pistole e cani addestrati, erano serratissimi e pronti a stanare i contrabbandieri di sigarette, chiamate in gergo le bionde, che facevano la spola dalla Svizzera all’Italia.
Una guerra di guardie e ladri che poteva essere anche feroce.
“Braccato dai finanzieri decisi di non arrendermi e mi buttai nelle acque di Brienno, vicino al Crotto dei Platani – lancia uno sguardo d’intesa a Davide che ride – persi pure il portafoglio e nuotai sott’acqua per sfuggire alla cattura”.
“Poi sei risalito in superficie e ti sei nascosto su una rupe, in mutande, per ore, prima di poter andare via” gli ricorda De Sfroos.
“Non avevo altra scelta. Adesso posso riderne ma me la sono vista brutta – sghignazza Cimino prima di farsi serio – a quell’epoca ero un ragazzino braccato e scanzonato, che correva al buio con l’eco dei latrati dei cani alle spalle”.
Cimino viene iniziato al contrabbando da un parente a soli quattordici anni. Gli spalloni, in dialetto sfrusaduu, varcavano il confine svizzero accompagnati da un capogruppo, prendevano la merce nascosta dentro i rifugi e se la caricavano in spalla nella bricöla. Passavano poi lungo sentieri nascosti oltrepassando il confine dove altri compici, in auto o su motoscafo, erano pronti ad accogliere il bottino. Se non c’era nessuno nascondevano le bionde in luoghi sicuri e segreti.
“Prima chiesi il permesso a mia madre – accenna con un senso di riverenza ancora acceso verso la figura genitoriale – e lei mi diede il consenso perché avevamo tanto bisogno di soldi. Avevo dieci fratelli”.
I contrabbandieri garantivano la sopravvivenza di intere famiglie. Il traffico delle bionde ha avuto il boom a cavallo degli anni ’50 e ’70.
“A vent’anni ho smesso – ricorda Cimino inseguendo i ricordi – ho lavorato per qualche anno in Svizzera poi agli inizi dei ’70 ho iniziato a gestire questo bar insieme a mia moglie Lella”.
”Avresti mai detto che un giorno saresti salito sul palco di San Siro?”, chiede De Sfroos.
”Ma figurati”, risponde Sergio.
Gli occhi di Cimino sono vivaci e scaltri, come quelli degli uomini che hanno imparato presto a sopravvivere, e conservano una umana generosità che lo rendono familiare al primo sguardo.
“È un irrequieto rassicurante – afferma Davide, antropologo della sua gente – dall’apparenza burbera ma con il cuore generoso. La sua fama lo precedeva ma ho avuto modo di conoscerlo meglio grazie all’intermediazione di Cecco Bellosi, che aveva scritto un libro sui contrabbandieri. Ha fatto lo spallone per pochi anni ma con grande autoironia e spirito d’avventura. Un ribelle. Questo mi ha ispirato”.
Passeggiando tra le vie del lungolago, scopro che il soprannome Cimino, come l’omonimo bandito, deriva dal fatto che aveva scarso fair play sul campo da calcio. Mentre Davide racconta il suo sguardo si posa sulle acque.
“Il lago è spleen – sottolinea – e accende la mia sensibilità. A volte sono malinconico e nostalgico, a volte tocco note di ansia o depressione. Note poco evidenti ma che arricchiscono di poesia i miei brani, semplici come gli abitanti di questi luoghi”.
Malinconia mista a tenacia che tocca chi ascolta sospeso tra tradizioni che scompaiono e volontà di trattenerle. La stessa tenacia del tremezzino, il dialetto di Davide. “Questa gente mi ha sempre incuriosito – continua – forse perché mi sono sentito adottato. Sono arrivato a Mezzegra, oggi parte di Tremezzina, quando avevo tre anni. Da bambino ho capito che avrei scritto per sempre e crescendo ho realizzato che avrei parlato di loro (Cimino annuisce alle sue parole) ombre luminose alla parvenza chiuse ma piene di comicità. Guerrieri pacifici dalla generosità non sventolata, poesie involontarie”.
Le onde del lago accompagnano i nostri passi.
“Il lago è un drago capace di donare tesori e infuriarsi allo stesso tempo – conclude Davide – acque profonde e montagne spigolose. La gente che ha sempre vissuto qui gli somiglia, anche fisicamente. Il territorio è impresso sul loro volto. Di questo parlo nelle mie canzoni”.
È tempo di rientrare, Cimino torna al bancone e Davide, fresco di pubblicazione del suo libro “Ladri di foglie”, è pronto a tornare al suo “Tour de nocc” che lo vedrà nei teatri fino al 16 aprile con un repertorio ricco di inediti e grandi successi.
GALLERY-SFOGLIA/1
GALLERY-SFOGLIA/2
Il pezzo che avete appena letto è stato pubblicato su ComoZero settimanale, in distribuzione ogni venerdì e sabato in tutta la città: qui la mappa dei totem.
6 Commenti
Non mi stupirei se dopo questo articolo, la magistratura aprisse un fascicolo a carico del sig. Sergio Bordoli detto “Cimino”…..
Grande Davide e mitico Cimino
Personalmente ho conosciuto tanti ragazzi che, in quegli anni, facevano lo stesso lavoro del Cimino. Dicevano:”vu a purta ul sac!” e poi sparivano per qualche giorno.
È sempre un piacere scoprire come nascono canzonipoesie Davide il DeAndre del Lario non si smentisce mai Posso dire con orgoglio di esserci stato anch’io quel giorno a San Siro e contro ogni gufata lo stadio era pieno Rifatelo ancora e noi ci saremo ! Grande !!
Bellissimo racconto; straordinario Cimino e grandissimo Davide! Grazie Comozero. Enzo Molteni.
Grandissimi personaggi entrambi. Grazie alla Poesia tracciata da Davide e dallo stesso trasformata in “parole e musica” si è saputo dar Memoria a storie di vita e di persone che altrimenti avrebbero rischiato l’oblio. Il Lario, e la Tremezzina in particolare, posseggono – anche – queste unicità.