Due giorni fa, i presidenti dell’Azione cattolica diocesana, delle Acli di Como, della Compagnia delle Opere di Como-Sondrio e il direttore della Caritas diocesana Roberto Bernasconi hanno prodotto un documento congiunto che – tecnicamente, al di là delle idee di ognuno in merito – si può considerare un capolavoro di perizia lessicale, grammaticale e certamente anche politica.
Noi lo abbiamo analizzato (in corsivo le parti originali) e ne abbiamo ricavato un’impressione certamente opinabile ma piuttosto precisa: pur nel solco perfetto di uno spirito generale cattolico e sociale, lo scritto – letto in controluce – si può considerare un vero e proprio manifesto politico, comasco e cristiano, antitetico rispetto alla gran parte dei principi, del linguaggio e dell’azione dell’epoca salviniana, a Como come in tutta Italia. Vediamone dunque i passaggi fondamentali.
Il testo – che per i sottoscrittori avvia “un comune percorso per affrontare le sfide che toccano oggi la società e la Chiesa – si intitola “Prima l’uomo”. Tre parole precise che anche così, “a freddo”, evocano immediatamente un’antitesi rispetto ai vari “Prima gli italiani” che dalla Lega a numerosi altri movimenti politici di destra hanno adottato quale slogan principe negli ultimi tempi.
Nel secondo passaggio, compare una parola che si ritroverà spesso: “Ideologia”. Ma fanno anche capolino due degli avversari evidentemente fondamentali dei sottoscrittori, ossia i “luoghi comuni” e le “paure”.
“Le preoccupazioni e le attese che stiamo vivendo nella nostra Città e nel nostro Paese ci trovano sempre più attenti e coinvolti. Ci sono molti interrogativi che bussano con insistenza alla porta della coscienza e chiedono risposte libere da ideologie, luoghi comuni, paure”
Nei due paragrafi seguenti, una doppia linea: la necessità di “assumere un impegno” per il mondo cattolico di riferimento anche (se non soprattutto) a Como. Con una sottolineatura di peso: “Restituire l’autentico significato a parole che sono a fondamento della nostra cultura, della nostra convivenza civile, della nostra democrazia”.
Le domande vengono da situazioni locali, nazionali e internazionali di cui i media riferiscono oppure che si incrociano ogni giorno sul territorio. È nell’ascolto delle difficoltà e delle speranze di quanti vivono accanto o lontano che si forma la volontà di prendere la parola per esprimere un pensiero e assumere un impegno.
Sono soprattutto le questioni concrete che si vivono nella nostra città e nel nostro territorio a chiedere di prendere posizione e formulare una proposta. Per compiere questo percorso è però necessario restituire l’autentico significato a parole che sono a fondamento della nostra cultura, della nostra convivenza civile, della nostra democrazia.
A questo punto si arriva al cuore del documento che, appellandosi alla “dignità” di ogni uomo al di là provenienze e storie personali, stronca (naturalmente con garbo estremo) i nazionalismi/sovranismi crescenti (“La dignità non conosce confini”) e arriva a parlare dello “spessore culturale e politico di ha responsabilità di governo della città”.
“Una di queste è la parola “uomo”, con la sua dignità che non conosce confini, con i suoi diritti e con i suoi doveri. Non si tratta di una questione astratta perché ogni giorno attorno a questa parola si misura la qualità delle scelte e lo spessore culturale e politico di chi ha responsabilità di governo della città”.
Poi si torna alla bocciatura del “Prima gli italiani” e simili:
“La parola “uomo” è fatta anche dai volti dei poveri, degli ultimi, degli immigrati, di chi lavora e di chi non ha lavoro, dei giovani, degli anziani, dei malati… Che senso dare allora a una graduatoria tra fragili condizioni di vita per stabilire a chi per primo occorre dare una risposta?”
A questo punto torna l’attacco all’ìdeologia:
Alla luce di questa domanda è doveroso prendere la parola per dire che l’alternativa all’ideologia viene dalla conoscenza, dal pensiero, dal confronto, dalla volontà di discernimento, dalla saggezza decisionale. In questa prospettiva la coerenza con il magistero sociale di papa Francesco e della Chiesa diventa irrinunciabile riferimento perché esprime un pensiero che non è per una parte ma è per il tutto.
Altro passaggio cruciale sul linguaggio ambiguo e improverito imperante nella politica, anche comasca:
“Occorre dunque restituire il significato autentico delle parole perché il loro sistematico svuotamento ha provocato e continua a provocare un impoverimento culturale e un’ambiguità dei linguaggi. Viene naturale a questo punto aggiungere un’altra domanda: quale idea di uomo emerge dalle scelte politiche che vengono proposte e realizzate sul territorio, quale di idea di uomo c’è nel costruire una città, nel tendere al bene comune?”
Infine, i paragrafi conclusivi: un affondo sempre più deciso – e qui l’ombra della Lega appare ancora più nitida – alle “letture strumentali e ideologiche dei fenomeni culturali e sociali”, alle “barriere culturali dei pregiudizi e degli -ismi”.
A nostro avviso “prima l’uomo” è il segno credibile della direzione che politicamente si vuole dare a progetti e percorsi di sviluppo, di coesione sociale, di giustizia. Questi progetto e percorsi non possono essere ridotti o rimossi da letture strumentali e ideologiche dei fenomeni culturali e sociali che interessano il territorio e il Paese. Ecco perché intendiamo affrontare questi temi chiedendo a chi ha pensieri diversi dai nostri di mettersi in gioco andando oltre le barriere culturali dei pregiudizi e degli “ismi”.
In chiusura, una sorta di annuncio: il mondo cattolico (o almeno quello che fa capo ad Azione cattolica diocesana, Acli di Como, Compagnia delle Opere di Como-Sondrio e Caritas di Como) non starà zitto, non starà fermo.
“Intendiamo così affermare che il prendere da laici la parola su fatti e problemi della città e del territorio vuole essere un’occasione perché alle domande di giustizia, di solidarietà e di sviluppo si possa rispondere a partire dalla consapevolezza che senza un’idea di uomo, libera da riduzionismi e strumentalizzazioni, non può esistere un’idea di città e neppure può esistere un’idea di popolo”.
2 Commenti
E’ il momento di privilegiare la “cultura del fare”.
I problemi ci sono e sono evidenti per tutti.
Vorrei essere un bravo cattolico, praticante e coerente, ma, se mi incaricano di fare il secondino, non potrò dire ai carcerati :” uscite! Vi lascio la porta aperta perchè, da cattolico, vi perdono, anzi vi porgo l’ altra guancia”.
Invece della retorica delle “supercazzole” sarebbe il momento di fare qualcosa di concreto, non potremo più gestire le emergenze solo con la carità.
Come ha già detto qualcuno :” non regaliamo pesci, ma insegnamo a pescare!”
L’UOMO sempre e comunque al primo posto. Uniamoci in una battaglia di vero cambiamento. Qualcuno diceva che con la cultura non si mangia, ma la cultura alimenta il corpo e la mente e rende la società più vivibile.