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Roncoroni (Famiglia Comasca): “Dialetto addio, tra i giovani è sparito. Un tempo avevamo i nonni in casa, era più facile”

Imprenditore molto noto non solo in città, Daniele Roncoroni da due anni presiede la Famiglia Comasca, associazione nata nel 1969 da un’idea di Piero Collina per “Custodire, difendere, ravvivare, tramandare i valori testimoniati dalla gente comasca nel linguaggio, nei costumi, nella storia civile e religiosa, nella letteratura, nell’arte, nelle scienze e nelle attività economiche” si legge nello statuto all’articolo 3. Famiglia Comasca che è viva e attiva più che mai, con libri e tante iniziative sul territorio. Eppure, anche per Roncoroni il problema di Como relativo al passaggio generazionale e al coinvolgimento dei giovani in attività associative e sociali è evidente (qui l’approfondimento sul tema con Tony Tufano). La Famiglia Comasca è arrivata a contare un migliaio di iscritti, oggi siamo poco più della metà, nonostante tutta l’attività svolta – dice – Cerchiamo di spingere verso i giovani, ma è difficile che qualcuno si avvicini a noi prima dei 40 o 50.

C’è così un problema anche di passaggio delle tradizioni.
Il dialetto comasco – dice sempre Roncoroni – non lo parla più nessuno tra i giovani. Fate un prova con qualche ragazzo. Un tempo avevamo i nonni in casa era più facile.

Cosa manca ai nostri giovani rispetto a quelli del passato?
La prima cosa che mi viene in mente sono gli oratori. Noi siamo cresciuti tutti sotto il campanile, poi c’era il cinema il calcio o altri sport, che contribuivano alla vita di comunità che non esiste più. I due anni di Covid hanno lasciato sicuramente il segno, vedo tanti ragazzi disorientati. Non ho nulla contro le società multietniche, ma purtroppo anche questo certo non aiuta. Non aiuta almeno a sentire i valori delle tradizioni della città, mentre vedo che nei paesi più piccoli, del lago o della Valle Intelvi, anche i ragazzi sentono in modo più forte la loro identità.

A Como da tempo c’è anche una carenza di spazi aggregativi per i giovani, che siano pubblici o privati.

Ricordo che quando ero nel gruppo giovani di Confindustria, pensammo a un centro polifunzionale. Commissionai una ricerca sulle associazioni giovanili della città, erano tantissime, ma non si parlavano tra loro. Mancava chi facesse rete, non so, tra gli astrofili, chi si occupava di modellismo, di collezionismo, filatelica, sport, cultura, cinema, fumetti… La non comunicazione tra associazioni e l’impermeabilità tra loro era il primo problema da risolvere. Purtroppo poi il centro polifunzionale non venne mai realizzato, per le istituzioni non era una priorità.

L’Università a Como esercita però un importante attrattore per le nuove generazioni.
Sì e credo che l’Insubria svolga bene questo compito. E’ bello vedere tanti giovani stranieri che vengono a studiare a Como, magari per il turismo. anche l’Università non ha grandi spazi ricreativi. L’aver perso il Politecnico è stato poi un errore molto grave, imperdonabile. Si sarebbe potuto avviare un centro di ricerca, coinvolgere tante belle menti. Non mancano altre realtà importanti, come l’Accademia Galli o il Conservatorio. Vedo tanti ragazzi ancora che frequentano la Biblioteca. Si tratta però di tante bolle che spesso non comunicano oltre alla singola attività di studio, credo anche per la mancanza di uno o più spazi aggregativi.

Se parliamo del fare impresa, come vede le nuove generazioni?

Qui devo dire che il futuro sembra meno grigio. Pensiamo a ComoNext, l’operazione ha faticato nei primi anni in cui drenava tante risorse, oggi è un vero incubatore di imprese. Consiglio a tutti una visita, si sente l’aria di novità, di voglia di fare, e i protagonisti sono davvero i giovani. Il TEDxLakeComo che si svolge ogni anno a Villa Erba è un’altra vetrina di come le nuove generazioni abbiano idee e talento.

Ma nelle associazioni del territorio non arrivano
I più giovani sono quelli della Stecca, i cinquantenni, che lavorano davvero bene. Como Pulita ha diversi ragazzi, come altri gruppi sull’ambiente o la cultura. I giovani sono più sensibili quando si tratta di partecipare in modo attivo, penso alle feste di solidarietà, altrimenti restano distaccati, schiavi della tecnologia e dei contatti solo attraverso i social. Tra un giovane a caccia di follower e uno che si impegna nel sociale o nel settore manifatturiero io continuo a preferire il secondo.

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Un commento

  1. Come fanno i giovani a frequentare spazi aggregativi se già dalla prima elementare devono stare dalle 08.00 alle 16.30 a scuola, coi genitori che quando va bene lavorano ALMENO 08h30 pure loro? A stento ci si riesce a frequentare tra genitori e figli e parenti , se poi ci aggiungiamo quelle famiglie(genitori compresi) schiave di Instagram , Facebook e chat di gruppo su whatsapp…

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