Due anni fa, nel pieno dell’emergenza migranti della Stazione San Giovanni, Como ha scoperto di giocare un ruolo in una dimensione più grande, internazionale. La città ha visto la realtà della guerra e della povertà bussare alla porta e si accamparsi nel mezzo della città.
Oggi i migranti che tentano di raggiungere la Svizzera o il resto dell’Europa passando per Como sono diminuiti. Ma tra il Decreto Sicurezza di prossima approvazione e la chiusura della struttura d’accoglienza di Via Regina, le difficoltà per i profughi rimasti e per gli operatori che li assistono non sono destinate a scendere.
Questa settimana, l’Osservatorio Giuridico per i Diritti dei Migranti di Como rilascerà i dati del proprio operato negli scorsi due anni. ComoZero ha parlato con il Presidente dell’Osservatorio Antonio Lamarucciola per avere un’idea di cosa può aspettarsi la città.
Due anni dopo l’emergenza del 2016 e dopo la chiusura della struttura di Via Regina, può farci un quadro della situazione a Como?
Stando a quanto siamo a capire, intercettando le persone per strada, ci sono circa 200 migranti senza alcun tipo di accoglienza. La maggior parte ha attivato il percorso per la protezione internazionale quindi sono solo in attesa del permesso di soggiorno. Per altri stiamo aspettiamo una decisione della Commissione, per altri del tribunale. Per una minima parte l’Osservatorio sta valutando di far partire una nuova domanda di protezione, se si può fare, o di avviarli a delle associazioni che si occupano di rimpatri assistiti.
Con chi si interfaccia l’Osservatorio e che risposta avete avuto dalle istituzioni?
Abbiamo segnalato i rischi seguenti la chiusura di via Regina all’assessore e vicesindaco, Alessandra Locatelli, già qualche mese fa. Con l’associazione Como Accoglie (storicamente attiva sul tema, Ndr) speravamo di offrire dei dati al Comune per poter individuare i casi sanitari più critici, peraltro alcuni di tipo psichiatrico. Avremmo voluto aiutare le istituzioni affinché individuassero situazioni di possibile pericolo per la cittadinanza. Chiedevamo una struttura che potesse permettere ai volontari di offrire accoglienza minima. Purtroppo non c’è stata possibilità. Via Regina avrebbe potuto assolvere questa funzione, chiuderla ci è sembrato un controsenso.
La storia recente di Como sembra dividersi tra un “prima dell’emergenza migranti” e un “dopo emergenza migranti”. Ha la sensazione che si stia tentando di tornare a un “prima” dimenticando il problema?
Si, certo, la sensazione è questa. Ma è una strada sbagliata. Primo perché Como rimane e rimarrà sempre città di frontiera. Sebbene i dati che abbiamo non siano ufficiali, immaginiamo ci siano tantissimi respingimenti – o riammissioni, se vogliamo usare il termine giusto – ogni giorno dalla Svizzera. Il non vedere questa cosa ci imporrà situazioni emergenziali a breve. Quello che non si vuole capire è che il territorio ha una ricchezza, una spinta di volontariato molto attiva che vorrebbe semplicemente avere un dialogo più costruttivo con le istituzioni.
Parlando di legislazione: avete presentato il Decreto Salvini come una specie di bomba a orologeria che andrà a toccare tante realtà locali.
Soprattutto l’attacco diretto alla protezione umanitaria rischia di creare tantissimi irregolari e fantasmi: persone per cui lo Stato Italiano non si spingerà a riconoscere una forma di protezione minima e che vengono quindi escluse da cure sanitarie, possibilità di lavoro, di studio. Potrebbero esserci persone che non riusciamo a respingere perché non ci sono accordi di rimpatrio con i Paesi d’origine. Perché è una bomba a orologeria? Perché la protezione umanitaria è usata molto spesso. Immaginare che non ci sia più neanche quel tipo di misura significa alzare di tanto il numero dei possibili irregolari presenti sul territorio. In modo miope, tra l’altro, perché la protezione umanitaria ha una derivazione costituzionale. È agganciata a normative europee e quindi ci vorrà del tempo ma la giurisprudenza dovrà esprimersi su questi aspetti. Nel frattempo però il rischio, l’effetto bomba è di far crescere il numero di irregolari.
Quale sarà il ruolo dell’Osservatorio nel lungo termine, nelle possibili implicazioni di una nuova legislazione?
Incontrare le persone, trovare insieme il percorso per rendere legale la loro presenza sul territorio. Incontreremo sicuramente delle difficoltà. Sarà fondamentale continuare a interfacciarsi con le istituzioni e dire la nostra non solo da un punto di vista tecnico. I primi risultati nelle commissioni territoriali sono poco incoraggianti.
A livello locale, la sensazione è quindi che solo il volontariato sia in grado di fare la differenza…
E’ fondamentale. Qualcuno diceva che non deve diventare un alibi per le istituzioni. Però è anche vero che le persone sono persone. L’associazionismo a Como è stato fondamentale.
PER APPROFONDIRE
“200 migranti in strada”, dopo la chiusura di via Regina la denuncia dell’Osservatorio Giuridico