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Dopo il tesoro ritrovato, intervista al direttore scientifico: “L’ex Cressoni non potrà diventare un museo”

Il lavoro di un archeologo, per alcuni aspetti, è molto simile a quello di un detective: si raccolgono le prove, si studiano, si analizza la scena del crimine e si formula un’ipotesi su quello che potrebbe essere accaduto. Ecco, nel “giallo” del tesoro ritrovato sotto l’ex-Cressoni le prove principali (mille monete d’oro oltre a orecchini, anelli e un frammento di lingotto) sono ormai note a tutti e sono già iniziate le operazioni di catalogazione e studio “per consentire – come dichiarato dal Soprintendente Luca Rinaldi in una nota ufficiale – di presentare il tesoro al pubblico in tempi ragionevoli anche in collaborazione con il Comune di Como e il Museo Archeologico Paolo Giovio”.

Ma la “scena del crimine” (che poi crimine non è, ma avete capito cosa intendo), cioè dello scavo in cui è stata ritrovata l’anfora, si parla poco, oscurata dal luccichio delle monete. Eppure anche lei ha molto da raccontare e il suo studio è fondamentale per provare a risolvere questo mistero. Per provare a saperne di più abbiamo chiesto al Barbara Grassi, direttore scientifico dello scavo per conto della Soprintendenza, cosa è stato trovato oltre alle monete e come sta procedendo il cantiere.

Quando sono iniziati i lavori al Cressoni, si immaginava già di poter trovare qualcosa di interessante dal punto di vista archeologico?
Il Cressoni si trova in un’area “calda” dal punto di vista archeologico e, come tutti i cantieri di questo tipo, anche questo è stato seguito dalla Soprintendenza fin dall’inizio con la presenza di archeologi che hanno assistito a tutte le operazioni di movimento terre dopo la demolizione. Di certo non ci aspettavamo un ritrovamento così eclatante, però.

Monete a parte, cosa avete trovato?
Abbiamo documentato tutte le fasi della vita di questo luogo partendo dal teatro e passando attraverso le sue modifiche fino all’antico convento di Sant’Anna che si trovava qui per arrivare poi a resti di età tardo romana che si innestano su murature più antiche, della prima età imperiale. Si tratta di murature e pavimenti che stiamo attualmente studiando.

Ci potrebbe essere altro in questa zona, oltre a quello che è emerso in questo scavo?
Il limite di questi scavi di emergenza effettuati durante i cantieri è proprio questo: non è possibile ampliare l’area di ricerca perché, oltre a problemi tecnici e di statica, bisogna rispettare i confini dati dagli edifici vicini o dalle strade e dobbiamo anche tenere conto delle esigenze del cantiere stesso, che non può rimanere fermo anni, e dei disagi alla città. E, nonostante la grande disponibilità dei proprietari, lo scavo del Cressoni è necessariamente limitato.

Esiste l’ipotesi di mantenere visibili questi ritrovamenti anche a edificio ultimato come già fatto, più in grande, con le terme sotto l’autosilo del Valduce, ad esempio?
Non è possibile una musealizzazione di questo sito. Però posso garantire che, come in altri casi analoghi, nessun livello sarà distrutto ma verrà effettuata una ricopertura da parte degli archeologi tale da preservare quanto trovato e permettere, un domani, di recuperare queste tracce, se si vorrà.

Non sarà neppure possibile aprire il cantiere ai cittadini, prima di ricoprire tutto?
No purtroppo. Gli standard di sicurezza del cantiere non lo rendono visitabile. Oltretutto, anche potendo, le murature che stiamo studiando sono ricoperte da oltre mezzo metro d’acqua che affiora continuamente nonostante l’utilizzo costante di pompe. Noi stessi stiamo lavorando in condizioni difficilissime e non è davvero possibile mostrare nulla al pubblico purtroppo.

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