Si fa onestamente fatica a crederlo. Eppure è successo.
Ricordate l’avviso del Comune da 4.3 milioni per la raccolta di manifestazioni di interesse da parte di aziende interessate alla bonifica della famigerata Cella 3 dell’area Ticosa? Sì, esattamente quella che da anni e anni amministrazioni comunali di vari colori ed estrazioni non riescono in alcun modo a ripulire, tenendo conto che l’operazione generale di bonifica iniziò nel gennaio 2012.
Ebbene, difficilmente si può dimenticare il clamoroso pasticcio che nei mesi scorsi ha portato la giunta Landriscina – durante questo mandato – a indire una prima gara poi finita nel nulla, con tanto di annullamento della procedura, per una lunga serie di intoppi e lacune di cui mai è stata accertata la responsabilità a dispetto di annunci e “facce feroci”.
Un inciampo colossale che però Palazzo Cernezzi ha deciso di archiaviare rapidamente per provarci ancora. E così, dopo l’azzeramento della procedura precedente, ecco arrivare a inizio autunno una seconda manifestazione di interesse nella speranza di trovare qualcuno che cancellasse finalmente i veleni della Cella 3. Speranza subito frustrata, con una nuova e successiva revoca del documento per motivi mai chiariti fino in fondo. Ma che ora, finalmente, possiamo rivelare.
Si scopre ora, infatti, che anche il nuovo avviso per la disperata ricerca del Comune di Como di un’azienda che completasse la bonifica era sbagliato e potenzialmente a rischio di nuove contese legali.
Lo dice la stessa amministrazione nelle sue carte, affermando che “nel predetto avviso era indicato quale requisito di partecipazione che il concorrente doveva possedere in fase negoziata entro il termine di scadenza per la presentazione dell’offerta la disponibilità dell’impianto/i di recupero/smaltimento […] con l’impegno, in caso di aggiudicazione, a ricevere la quantità minima pari a 15.620 t per il cod. CER 170503* ovvero parte di essa in caso di pluralità di impianti di conferimento sino almeno alla concorrenza del quantitativo minima di 15.620 t”.
Tecnicismi estremi, ce ne scusiamo, ma che in sostanza si possono sintetizzare nell’obbligo inserito dal Comune nell’avviso secondo cui le aziende, per partecipare, dovevano garantire di avere già a disposizione un impianto di smaltimento per una certa quantità minima di materiale inquinato.
Ebbene, nonostante la prima figuraccia e nonostante uno dei punti anche nella prima “gara” finita con l’azzeramento riguardasse proprio lo smaltimento dei materali, quell’obbligo non si poteva o doveva inserire.
E’ ancora la stessa amministrazione a metterlo nero su bianco: “La Delibera Anac n. 591 dell’8 luglio 2020 secondo cui la richiesta al concorrente della dichiarazione di disponibilità del titolare dell’impianto autorizzato a ricevere e smaltire, presso l’impianto suddetto tutti i materiali contaminati da amianto […] equivale ad escludere dalla possibilità di partecipare alla selezione tutti gli operatori economici che non siano già titolari dell’impianto e quelli che non abbiano già prima della gara sottoscritto un accordo negoziale di messa a disposizione dell’impianto con il titolare dello stesso (e non partecipante alla gara), così trasformando, appunto, quello che dovrebbe essere un requisito di esecuzione in un requisito di partecipazione” con effetto distorsivo della concorrenza”.
Insomma, Palazzo Cernezzi stava andando di nuovo “a sbattere” nonostante il clamoroso precedente.
Ora le carte sono state aggiustate e già l’avviso ripubblicato, ma dire che sia davvero la volta buona per chiudere la bonifica della Ticosa resta ancora davvero impossibile, con questi precedenti.
Un commento
Quando leggo un articolo come il presente – che legge bene le carte, rende ragione per quanto possibile della complessità ed è realmente informativo – sento il bisogno di ringraziare.