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Gli artigiani scompaiono. Nel Comasco sparite 4.742 botteghe in 10 anni

I quartieri si svuotano, i piccoli negozi scompaiano, le botteghe degli artigiani tirano giù la serranda. Tante volte abbiamo raccontato la trasformazione del territorio comasco che presenta caratteristiche simili anche nel resto d’Italia. Adesso altri numeri impressionanti certificano quanto è visibile a occhio nudo. Si tratta del numero di artigiani scomparsi negli ultimi dieci anni, tra il 2012 e inizio 2022. Nel Comasco sono stati addirittura 4.742 con un calo del -19,5% (erano 24.290 nel 2012 , passati a 19.548 a inizio 2022). Ovvero 472 ogni anno.

A certificarlo l’analisi dettagliata dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre.

Ecco il contenuto: “Fiaccati dal boom degli affitti, dalle tasse, dall’insufficiente ricambio generazionale, dalla contrazione del volume d’affari provocato dalla storica concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico, gli artigiani stanno diminuendo in maniera spaventosa. Negli ultimi 10 anni, infatti, il numero dei titolari, dei soci e dei collaboratori artigiani iscritti all’Inps è crollato di quasi 300 mila unità, per la precisione 281.9251”, si legge.

Un’emorragia continua che sta colpendo, in particolar modo, “l’artigianato tradizionale, quello che con la sua presenza, storia e cultura ha contrassegnato, sino a qualche decennio fa, tantissime vie delle nostre città e dei paesi di provincia. Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane”.

Sono molti i mestieri artigiani in via di estinzione e le cause che hanno provocato questa situazione sono molteplici: innanzitutto sono cambiati i comportamenti d’acquisto dei consumatori, dopodiché le nuove tecnologie hanno spinto fuori mercato tante attività manuali e la cultura dell’usa e getta ha avuto il sopravvento su tutte le altre, penalizzando, in particolar modo, coloro che del riuso e della riparazione di oggetti e attrezzature ne avevano fatto una professione.

In sintesi, segnala l’Ufficio studi della CGIA, i mestieri artigiani tradizionali in declino sono: autoriparatori (verniciatori, battilamiera, meccanici, etc.); calzolai; corniciai; fabbri; falegnami; fotografi; impagliatori; lattonieri; lavasecco; materassai; orafi; orologiai; pellettieri; restauratori; ricamatrici; riparatori di elettrodomestici; sarti; stuccatori; tappezzieri; tipografi; vetrai. Per contro, invece, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione importante sono quelli delle aree appartenenti al benessere e all’informatica. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un forte aumento degli acconciatori, degli estetisti, dei massaggiatori e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Purtroppo, l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico, con il risultato che la platea degli artigiani è in costante diminuzione

Tra le province lombarde , la variazione più importante è nel Mantovano (-20%). Nella Bergamasca 7.622 (-16,7%), nel Bresciano più di 7.800 artigiani (-15,3%), nella provincia di Lecco circa 2.000 (-15,1%). Guardando alla classifica nazionale redatta in base alla variazione in percentuale tra il 2012 ed il 2021, tra le prime 20 province ce ne sono ben 5 lombarde: Mantova, Pavia, Como, Cremona e Lodi.

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2 Commenti

  1. Oltre a tutto il resto c’è stato un forte impulso dei governi di sinistra che hanno contribuito fattivamente alla “desertificazione dell’economia Italiana” e di questo gli elettori Italiani devono assumersi le resonsabilità.

    1. Ho sorriso quando ho letto il suo post. Francamente se penso al programma Industria 4.0 lanciato da Calenda (Governo Renzi) e dal riordino delle scuole professionali parte integrante della Riforma Gelmini del 2010 (Governo Berlusconi), mi verrebbe da dire esattamente l’opposto. La propaganda fine a se stessa non argomenta mai. È un po’ come dire che l’Inter del triplete era più forte della Juventus di Conte. Comunque la si dica, hanno tutti ragione. Comunque la si dica c’è chi rimane tifoso dell’Inter e chi rimane tifoso della Juve. Quello che conta è riuscire sempre a sorridere, ovviamente pensando che Renzi, Calenda e Gelmini sono quasi nello stesso partito.

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