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Igor Malgrati, il comasco con l’Afghanistan nel cuore: “E se i talebani non fossero gli stessi di 20 anni fa?”

Mentre ai Tg scorrono le immagini di migliaia di persone in fuga a costo della vita e mentre tutti si domandano cosa ne sarà di chi resta in Afghanistan dopo il ritorno al governo dei Talebani, c’è chi ha ancora negli occhi e nel cuore il Paese di quasi 10 anni fa e guarda a questo cambiamento con una lucidità che solo chi è abituato a immergersi in prima persona – e non attraverso uno schermo dal divano di casa – in culture tanto diverse dalla nostra può avere.

Lui è Igor Malgrati e l’avevamo conosciuto nel 2019 con un’intervista fatta “in tempi non sospetti” per raccontare la sua scelta professionale e di vita che l’ha portato, ingegnere quarantenne nato e cresciuto a Cantù, nelle zone di guerra e più disagiate di tutto il mondo prima per un’Ong e poi per il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Sri Lanka, Libano, Filippine, Yemen, Iraq, Siria e, naturalmente, Afghanistan.

Igor e la Croce Rossa: una vita per gli altri tra bombardamenti e tsunami

“Mi stanno chiamando moltissimi amici per chiedermi cosa penso di quanto sta accadendo lì ed è stato un po’ come un flashback, visto che manco dall’Afghanistan da dieci anni – racconta mentre si trova a lavorare in Giordania – sono stato lì due volte, la prima nel 2007 per costruire un villaggio nei pressi di Kabul destinato a chi, visto il momento di stabilità del Paese, rientrava dopo essere emigrato all’estero. E la seconda nel 2011 per collaborare alla costruzione del Centro Ortopedico di Faizabad, nel nord dell’Afghanistan al confine con la Cina” (qui e qui i resoconti di questa seconda esperienza).

Due esperienze che, ancora a distanza di anni, considera tra le più belle della sua carriera e che oggi gli permettono di leggere gli avvenimenti di questi giorni con uno sguardo più obiettivo e meno influenzato dalle suggestioni delle immagini, seppur drammatiche, che i media ci stanno offrendo.

“L’Afghanistan è un paese meraviglioso che mi è rimasto nel cuore, uno degli incarichi in cui mi sono potuto immergere maggiormente nella realtà locale, contatto che poi inevitabilmente un po’ perdi quando avanzi nella carriera – spiega – e anche se, naturalmente, i miei contatti erano spesso limitati a determinati luoghi o a persone di una certa estrazione o classe sociale, quello che mi è sempre stato evidente è che, nonostante tutto, i combattimenti sono sempre continuati e le moltissime armi visibili nelle strade della stessa Kabul significavano che stabilità e sicurezza fossero comunque appese a un filo”.

E se nei centri urbani il contatto con persone provenienti da tutto il mondo, internet o anche solo la televisione avevano portato una certa apertura, nei villaggi la mentalità non era cambiata: “Le cose non cambiano da un giorno all’altro e la presenza di eserciti stranieri era vista da tanti come un peso – racconta Malgrati – dovremmo sempre domandarci se sia giusto cercare di cambiare il destino di un popolo quando questo è basato su principi molto diversi dai nostri. Il concetto di alleviare le sofferenze è sempre un’ottima stella polare ma, mentre certe sofferenze sono inequivocabili, certe altre sono molto più sottili e relative. Inoltre, le armi non sono mai uno strumento efficace. Mai”.

Si ma, i diritti umani? Il destino delle donne e tutti gli scenari oscuri che sembrano prospettarsi per questo Paese?

“Oggi molti sono in fuga, soprattutto quelli che temono di essere considerati collaborazionisti, e noi siamo preoccupati perché conosciamo gli episodi che la visione dei talebani ha generato, ma siamo sicuri che i talebani di oggi siano gli stessi di 20 anni fa? – si domanda – Se così fosse si aprirebbe davvero un periodo di oscurantismo che mi spaventa ma non è detto sia così. I talebani hanno tenuto una conferenza stampa, facendo promesse sui diritti delle donne. Se riuscissero a controllare il territorio e a fiutare i venti geopolitici regionali e globali paradossalmente questo potrebbe rappresentare l’inizio di un momento di stabilità che l’Afghanistan non conosce da quarant’anni, dai tempi dell’invasione sovietica. A che prezzo per i diritti degli afgani sarà da capirsi”.

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5 Commenti

  1. La prima cosa che hanno annunciato é la reintroduzione della sharia…per cui pensare che siano cambiati, mi diventa moooolto difficile, in ogni caso chi ci rimetterà comunque saranno donne e bambini/e.

    1. Ma lei è lo stesso Libero che aveva commentato due anni fa nello stesso modo nell’altro articolo? In tal caso potrebbe rileggere la mia risposta e commentarla.

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