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Il cuore spezzato di Porlezza. Parlano Simone, Serkan, Gianluca, Mary: “Come facciamo ad andare avanti?”

Le difficoltà che le attività commerciali stanno affrontando in questo momento, dopo un anno di pandemia, non sono circoscritte solo alle grandi città.

Negozi, bar, ristoranti rappresentano il cuore pulsante dei piccoli Comuni: qui la popolazione si riunisce ogni giorno e crea legami, affetti, relazioni, oltre a far girare l’economia del paese.

Così, la continua altalena di aperture e chiusure insieme alle restrizioni imposte va a mettere a rischio le attività più storiche ma anche quelle appena nate in questi luoghi.

Una condizione condivisa da alcuni ristoratori e commercianti di Porlezza, piccolo gioiello affacciato sul Lago di Lugano e a pochi passi dalla Svizzera.

Simone Schiesaro gestisce l’attività storica di famiglia, il conosciutissimo bar Total, dal 2019 e ora a causa della pandemia deve fare i conti con difficoltà economiche mai viste prima. “I miei genitori hanno aperto questa attività negli anni ’80, ma nel 2019 è stata rilevata da mia sorella e me – spiega – In questi mesi, nessuno ci ha aiutati. Non abbiamo ricevuto ristori perché non avevamo il confronto tra aprile 2019 e 2020. E questo a fronte di tutti gli affitti da pagare: capisco che il proprietario voglia l’affitto, ci mancherebbe, ma noi siamo molto in difficoltà. Al posto di tutti questi bonus, sarebbe stato meglio se avessero bloccato gli affitti e azzerato le tasse ai proprietari degli immobili”.

Per cercare di stare a galla, Simone come molti colleghi ha scelto di fare almeno il servizio d’asporto. “Ma non funziona tanto – sottolinea – fortunatamente alla mattina riusciamo a lavorare un po’ coi frontalieri ma non è certamente come essere aperti. Così non riusciamo a mettere via i soldi e a pagare le spese. Io e mia sorella è da mesi che non prendiamo la paga, è un disastro. Avevamo anche due dipendenti a lavorare, una è in cassa integrazione e l’altra aveva il contratto in scadenza e per fortuna ha trovato un altro lavoro”.

E, di fronte alla situazione drammatica, la decisione sembra essere una sola: “Purtroppo se andrà avanti così, dovremo chiudere – conclude – si stanno accumulando gli affitti e le utenze, a rischio c’è l’attività dei nostri genitori. Io e mia sorella siamo cresciuti qui, a 18 anni abbiamo iniziato a lavorarci e l’anno prossimo dovremmo festeggiare i 40 anni dell’attività. Io ho sempre lavorato con piacere, ma ora apro e sono triste. Si apre un bar o ristorante per accogliere la gente, mentre ora ci obbligano praticamente a cacciare i clienti”.

Ma c’è anche chi ha dovuto abbandonare l’attività appena avviata. Serkan Susam aveva già una sua piccola impresa ma, a febbraio 2020, ha deciso di avviare il nuovo ristorante Agriturismo Lo Stallone: “Ho aperto un mese prima che arrivasse il lockdown – spiega – ho speso tutti i miei soldi, non potevo sapere che sarebbe successo tutto questo. Non ho ricevuto alcun ristoro, ho perso 66mila euro in questa maledetta pandemia. Ho due bambini, come faccio ad andare avanti?”.

Da qui, appunto, la decisione di chiudere il locale e lasciarlo al proprietario dell’immobile. “Ormai faccio fatica a pagare gli stipendi ai dipendenti dell’altra attività – afferma – io voglio essere rimborsato per tutto ciò che ho perso, ho due bambini e lavoro dalla mattina alla sera. Sono stato costretto ad abbandonare il ristorante due mesi fa perché non ce la facevo più, tra affitto e spese da pagare per qualsiasi cosa. Sono tornato a fare il mio vecchio lavoro. Ora il ristorante è in mano al proprietario dell’immobile a cui pagavo l’affitto. Ma questa situazione è un disastro”.

Un altro ristorante in difficoltà è quello di Gianluca Monaco, lo Zenzero, che si affaccia sul lungolago. “Avendo l’attività già da alcuni anni, ho ricevuto almeno i ristori ma alla fine non servono a nulla – commenta Gianluca – perché tutti abbiamo dei costi. Le mura sono mie e questo è stato un vantaggio perché non avevo l’affitto da pagare ma con i ristori non siamo riusciti a coprire nemmeno le spese fisse. Per questo avevo deciso di chiudere il ristorante, siamo stati fermi dal 2 novembre alla settimana scorsa. Ora facciamo un po’ di asporto perché non ce la facevamo più a stare chiusi in casa”.

E aggiunge: “Se dovessimo restare chiusi ad aprile, dopo Pasqua, per noi sarà un problema. Hanno chiuso a novembre per salvare il Natale, ora ci chiudono a Pasqua per salvare non so cosa. Per ora continueremo con l’asporto ma le difficoltà sono tante, al momento riesco ancora a barcamenarmi ma non so ancora fino a quando sinceramente: se dobbiamo lavorare mediamente 3-4 mesi all’anno non ci sto dentro nemmeno io con le spese, non si può lavorare per pagare le tasse e basta”.

Sempre a Porlezza, anche chi non lavora nella ristorazione lancia un grido d’allarme. Maria Rosa Favata è proprietaria del negozio di animali Amici Miei e come molti colleghi si trova in difficoltà a causa dello stop al servizio di toelettatura.

“Premetto che mi ritengo fortunata rispetto a bar o ristoranti – spiega – ma le mie difficoltà sono dovute alla chiusura della toelettatura in zona rossa. Posso rimanere aperta solo per la vendita, ma per me è comunque una perdita. Trovo assurdo che siamo obbligati a chiudere la toelettatura, anche perché non siamo riconosciuti come categoria e quindi abbiamo vissuto un doppio disagio. Prima siamo stati assimilati al Codice Ateco dei parrucchieri, chiusi durante il primo lockdown, e poi a quello dei servizi alla persona durante il secondo lockdown. Insomma, in entrambi i casi siamo stati chiusi e ora siamo al terzo lockdown”.

I clienti di Maria Rosa, inoltre, sono per la maggior parte svizzeri. “Per me anche la chiusura delle dogane è un problema – osserva – perché lavoro molto di più con gli svizzeri rispetto alla gente del posto. Ho avuto un calo del 30-40% di fatturato solo per la loro mancanza e in totale, togliendo la toelettatura, a fine giornata mi mancano circa 200 euro al giorno. Essendo un pet shop, inoltre, non ho avuto un calo di fatturato sufficiente per accedere ai ristori ma solo agli aiuti alle Partita Iva, ovvero 600 euro per i mesi di aprile e maggio”.

E conclude: “Per me la toelettatura è fondamentale, chi viene a toelettare il cane magari poi acquista anche qualcosa dal negozio. Ora invece la gente esce solo se ha bisogno e magari va al supermercato a prendere tutto, senza passare da qui ad acquistare qualcosa di particolare per gli animali. E, soprattutto in questo periodo, la toelettatura per il cane non è solo bellezza ma anche una necessità di salute per via di pulci e zecche”.

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