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Il Diavolo fa le pentole e le Residenze di Camerlata: viaggio nell’utopia che si fa incubo

Quello che ti frega, nel caso delle residenze di Camerlata – maxiprogetto edilizio varato ai tempi delle giunte Bruni – è ciò che sta fuori dal recinto infernale.

Arrivati proprio sotto il tanto discusso ponte di via Badone – nel nostro caso, saliti direttamente in cima alla rampa di scalini – e voltandosi, l’ex Trevitex lasciata alle spalle, ciò che si vede è uno spicchio di periferia urbana come milioni di altri.

Un grande palazzone dall’architettura imponente, sostanzialmente anonimo ma ampiamente dignitoso, è piantato lì, sonnecchioso, con i suoi cento occhi di vetro un po’ aperti e un po’ spenti a guardare svogliatamente via Badone, l’Esselunga, i pezzi di serpenti diesel in transito verso via Pasquale Paoli. Ma attorno a quel corpaccione, succede poco. Sicuramente poco di eclatante: grandi negozi al piano terra silenziosi, movimenti umani poco superiori a una piazza venuta male a De Chirico. Calma noiosa, in sostanza.
Poi, però, le residenze color panna e mattone, all’improvviso – come una casa carnivora – inghiottono uno dei rari passanti nel loro varco d’accesso. E in quel momento, cambia tutto.

Ci si trova, improvvisamente, minuscoli in mezzo al viale che sfocia dall’altro capo della landa, in via Cuzzi, oppressi da grandi pareti pallide e rugose, scalcinate. Senza vita, dietro gli sguardi vuoti delle finestre, serrate nella quasi totalità, le ciglia dei balconi fatte di intonaco scrostato. In quell’istante, capisci che le Residenze di Camerlata vogliono mangiarti.

Lo hanno già fatto, d’altronde. Salvo qualche superstite coraggioso – li riconosci: studi professionali inappuntabili, piante ben curate davanti ai pochi ingressi abitati – quel progetto forse spropositato piazzato nel cuore del quartiere ha divorato (politicamente) chi l’ha approvato, (materialmente) chi l’ha costruito e (sostanzialmente) chi ci avrebbe dovuto abitare.

Oggi, di quel super condominio resta poco più che la mastodontica carcassa: violentata da ripetuti tentativi di accesso abusivo, sommersa da enormi giardini di rovi e cespugli abnormi, visitata più volte dalle forze dell’ordine per scacciare i profanatori.

Un’utopia edilizia che si è fatta incubo, difesa allo strenuo – ci dice uno dei pochi abitanti – da un ottimo e coraggioso studio di amministratori e dalla tenace volontà di mantenervi almeno alcuni presidi vivi e attivi di quei pochi residenti e lavoratori (concentrati soprattutto nell’ala mattone verso via Badone) che chiedono solo sicurezza, giustizia, tutela. Perché loro lì hanno investito, lì ci sono e lì vogliono continuare a stare, credendo nel riscatto e nella resistenza.

Vanno aiutati. Perché deve far paura la notte, là dentro. Altrimenti non si spiegherebbero le enormi scritte rosse su uno dei pianerottoli bianchi mezzi deserti con la scritta “FUORI PUTTANE”, “BASTA”.

O interi ingressi, verso il maledetto cancello di via Cuzzi sempre aperto, travestiti da nascondigli del diavolo tra finestre rotte, sporcizia inimmaginabile, un abbandono oltre ogni limite.
La politica, pare, finalmente se ne sta occupando. Grazie a chi – la consigliera Pd Patrizia Lissi su tutti – denuncia da anni, ogni volta che può, la situazione delle residenze.

L’ultima lunedì scorso in consiglio comunale, con l’affondo verso “la destra e la Lega che quando governavano a tutti i livelli hanno permesso di costruire in modo selvaggio, distruggendo i quartieri, con il risultato che vediamo a Camerlata: appartamenti sfitti, mai comprati, nel degrado”.
E ora grazie anche a chi – l’assessore all’Edilizia privata, Marco Butti – ha preso il fascicolo in mano, ha fatto un sopralluogo sabato scorso assieme ad alcuni residenti e ha confermato “la situazione estremamente delicata per chi ha regolarmente acquistato un’abitazione e corre pericoli per la sicurezza sia per gli aspetti edilizi che fisici”.
“Per questo – ha aggiunto Butti – ci attiveremo anche con la Questura: l’attenzione è alta, la vicenda non può interessare solo il Comune ma dovrà essere svolto un attento lavoro con le forze dell’ordine sotto la regia della Prefettura per evitare che una piccola San Lorenzo possa nascere a Camerlata”.

“Una piccola San Lorenzo”. Un parallelo con il quartiere di Roma venuto dall’inferno e abbandonato a se stesso dove, tra droga e umanità perduta, è morta nella più atroce violenza una 16enne. Questo, il livello dei paralleli, oggi, con la situazione di Camerlata.

Serve altro perché si ragioni su un intervento straordinario?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

3 Commenti

  1. Buongiorno,
    Il problema resta sempre lo stesso, <<Far rispettare le norme». Purtroppo c’è ancora scarsa attenzione a questi temi, e mentre Milano è avanti grazie al lavoro fatto per l'Expo sul fronte della sicurezza e della lotta al degrado, mentre Roma è ancora allo stato brado. Per Como serve un segnale reale di contrasto ai fenomeni, serve un lavoro in tandem fra Comune e le Istituzioni preposte alla sicurezza. Occorrono anche gruppi di quartiere coordinati dal Comune che organizzino eventi di riqualificazione urbana, un movimento trasversale con cittadini, studenti, intere famiglie e professionisti che scendono in campo per risvegliare il senso civico e battere "disgustose e pericolose situazioni" che avvolgono le città, in centro come in periferia.
    Un caro saluto.
    Davide Fent

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