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Il sindacato svela gli stipendi stellari dei top manager svizzeri: anche 14,4 milioni per 9 mesi di lavoro

Il sindacato svizzerio Unia ha svelato gli stipendi veramente stellari di alcuni Ceo delle maggiori aziende svizzere: top manager che guadagnano sempre di più, mentre gli stipendi bassi restano inchiodati.

Nel 2023 Vasant Narasimhan, CEO di Novartis, ha visto la propria retribuzione quasi raddoppiare, salendo a 16,2 milioni di franchi. A tallonarlo il numero uno di UBS Sergio Ermotti, che ha incassato 14,4 milioni per soli nove mesi di lavoro. Il manager ticinese ha quindi portato a casa 84.000 franchi al giorno, più di uno stipendio medio annuo svizzero (81.500 franchi).

A seguire il CEO (uscente) di Nestlé Mark Schneider, la cui busta paga è passata da 10,3 milioni nel 2022 a 11,2 milioni l’anno successivo. In media, i dieci dirigenti che guadagnano di più hanno visto i loro salari aumentare del 3,5%.

In sette aziende su dieci, gli stipendi della fascia più alta hanno continuato a crescere. Il calo più marcato si è registrato presso Roche e Richemont, mentre è stato lieve in seno ad ABB.

Le retribuzioni più basse invece sono rimaste praticamente invariate, ampliando così il divario. Quest’ultimo è particolarmente grande in casa UBS, dove Ermotti guadagna 267 volte di più del dipendente meno pagato. Seguono Novartis (250 volte) e Nestlé (220).

In totale, lo scarto salariale è passato da 1:139 nel 2022 a 1:143 nel 2023. Detto in parole povere, ora lo stipendio più alto è in media 143 volte più elevato di quello più basso.

Unia deplora il fatto che la maggior parte degli utili finisca nelle tasche degli azionisti e non del personale in fondo alla scala retributiva. I più grandi gruppi elvetici hanno versato l’anno scorso globalmente 45 miliardi di franchi in dividendi, contro i 44,3 miliardi del 2022. Ad averne approfittato sono in particolare i detentori di titoli di Roche, Nestlé, Novartis e Zurich.

Stando al sindacato, tali cifre dimostrano che i soldi per aumentare gli stipendi più bassi ci sono. Invece, si sta ampliando il divario con i vertici, fenomeno accentuato dall’incremento del costo della vita. Nel 2023, i prezzi erano più alti del 5,7% rispetto al 2020, sottolinea Unia nell’indagine, che viene realizzata con cadenza annuale dal 2005. Il costo di affitto ed energia è salito del 9,3%, quello dei trasporti del 12,8% e quello dei generi alimentari del 4,8%.

Questo dato è «ancora più drammatico» se si considera che l’inflazione ha colpito soprattutto le persone con un reddito medio-basso. Unia torna pertanto a chiedere aumenti salariali generalizzati, contratti collettivi di lavoro vincolanti e stipendi minimi obbligatori.

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