I primi mesi del 2025 hanno fatto segnare, secondo i recenti dati Seco (segreteria di Stato dell’economia), una crescita dell’economia e dell’occupazione in Ticino. Ma, ha spiegato il consigliere di Stato Norman Gobbi (Divisione delle costruzioni), “la nostra crescita convive con una costante pressione salariale dovuta al frontalierato.”
E analizzando anche il dato del calo dell’1,4% dei frontalieri rispetto allo scorso precedente – dopo decenni di aumento costante – “si tratta di un segnale positivo, frutto anche del nuovo regime fiscale che ha ridotto l’attrattiva del lavoro oltreconfine”, ha sottolineato Gobbi a Il Mattino.ch. Anche se la mole di frontalieri ancora all’opera, “circa un terzo della forza lavoro cantonale, non aiuta”.
Il Ticino è un Cantone di frontiera e “subisce una concorrenza diretta da parte del mercato italiano, dove i salari sono più bassi. Squilibrio che crea un bacino di manodopera disponibile ad accettare condizioni che, pur essendo migliori di quelle italiane, sono inferiori agli standard svizzeri. È qui che nasce il dumping salariale”, avverte Gobbi.
L’analisi dei salari medi del 2022 parla chiaro: mentre gli svizzeri percepiscono in media 6’462 franchi al mese, gli stranieri si fermano a 5’000 franchi.
“Ma il problema – precisa sempre Gobbi nella stessa intervista – è che questo meccanismo tira verso il basso anche i salari dei residenti. Da un lato, le imprese beneficiano di manodopera a basso costo e flessibile. Dall’altro, la pressione sui salari è reale e colpisce soprattutto i lavoratori locali. Questa dinamica va regolata”.
“Il Ticino non può essere trattato come un Cantone qualsiasi. Siamo il laboratorio di frontiera della Svizzera. Le misure per tutelare i salari elvetici devono partire da qui. Il frontalierato non può più essere visto solo come una risorsa. Solo così potremo garantire che la crescita economica si traduca in un benessere diffuso e non in una corsa al ribasso”, chiude Gobbi.