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Il nostro match sul campo del Real Aram Manoukian: ha vinto lui (ed è buon segno)

Ti frega facile Aram Manoukian. Ti accoglie nel suo ufficio di Confindustria (no, nessun acquario con i dipendenti-triglia né poltrona in pelle umana) come un vecchio amico del liceo che ce l’ha fatta: cordiale, simpatico, carismatico senza metterti soggezione.
Poi, però, ci si siede ai due lati della scrivania e lì ti accorgi che il pallone che avevi portato per “fare due tiri” l’ha preso lui , il presidentissimo (anche di Lechler). E nemmeno te ne sei accorto. Ci palleggia da solo, la partita la fa lui. Tu guardi/ascolti. Annoti. Leadership o prepotenza guantata? Vedremo alla fine.

“Collaborazione, visione, anima, fiducia. Queste sono le parole chiave con cui interpreto il mio mandato qui in Confindustria, ma che in generale ho sempre avuto come riferimenti. Collaborazione, perché se vogliamo ambire a traguardi importanti e di prospettiva dobbiamo essere alleati, vicini. Visione, perché bisogna darsi uno o più orizzonti se vogliamo che le cose accadano. Anima, perché serve coraggio, serve anche far fatica per compiere un percorso. Fiducia, quella che purtroppo talvolta manca nel tessuto sociale”.

Ok, il match è chiaro: è una specie di Real Madrid-Chievo. Lui attacca – in senso buono, per carità – per una ventina di minuti. Tu ti chiudi in difesa, studi, attendi. Cerchi di capirlo. Si apriranno varchi di contropiede, prima o poi.
“Sostenibilità e responsabilità, altri due cardini. La capacità di sostenere e mantenere la propria impresa, l’insieme delle imprese. Farle durare nel tempo, assorbire i passaggi generazionali e darsi prospettiva. E poi la necessità che l’imprenditore, gli imprenditori, si assumano la responsabilità di generare iniziative che vadano oltre se stessi, oltre le mura dell’azienda stessa. Che vadano verso e dentro il territorio”.

Spiraglio. Tento una sortita sulla fascia: qui spesso si sentono ancora molti imprenditori parlare dell’impresa come di un figlio, una cosa di famiglia. Bellissimo. Ma un po’ limitativo?
“Certo. L’azienda non ti appartiene, non è un figlio. Non deve essere tale. E’ vero, le hai dato la vita. Ma un attimo dopo è qualcosa che appartiene al territorio, alla comunità. Non è più un gioiello di casa, non può diventare una gabbia. Va aperta verso il mondo e bisogna portarci il mondo dentro, se possibile. Anche con manager stranieri, ad esempio”.

Fermi! Bello questo passaggio. Ricorda l’iniziativa nazionale che portò – tra non poche polemiche – molti direttori stranieri nei più grandi musei italiani.
“Beh – dice Manoukian – quando si parla di internazionalizzazione, non puoi ridurre quel concetto soltanto al vendere all’estero. La visione del mondo fuori, che cambia a velocità straordinarie, deve includere anche un’apertura dall’interno a visioni, voci, pensieri diversi. E quindi sì, il presidente decide, ma il gruppo di manager che guida ogni giorno l’azienda – nella mia sono 60-70 queste figure chiave – non devono essere necessariamente di Como. La mia stessa storia, il mio stesso cognome è frutto di contaminazioni”.

Una sciabolata morbida, direbbe il celebre telecronista Piccinini.
“La governance non può essere legata sempre a uno, deve coinvolgere persone, devi farti premura di attuare comportamenti perché l’impresa abbia futuro. E quindi acquisire risorse”.Tentiamo una sortita, tornando al tema carissimo della collaborazione. Ma esiste, questa voglia di andare a braccetto tra le imprese comasche?
“Non la riscontro, no. E se pensiamo alle dimensioni di molte aziende, non va bene. E’ con la sinergia e la filiera che si diventa forti, non da soli nel mercato globale. Ma è qui che può fare molto la nostra associazione: deve essere il lievito di certi processi, deve gettare il seme, coltivare il germoglio. Il terreno è ancora arido. Lo dissoderemo. O ci proveremo”.Ti viene da pensare: vabbè, presidente, date l’esempio allora; avviate la fusione con Confindustria Lecco-Sondrio.
“Intanto il 15 novembre faremo l’evento congiunto a Lariofiere. E in Camera di Commercio, ad esempio, l’alleanza è già un dato concreto, visibile. La fusione non la decidono i presidenti, non si fa in un giorno. Ma iniziare a lavorare assieme su temi e tavoli comuni è già in agenda. E sì, la prospettiva è quella, in futuro”.

(Fine primo tempo. Vince lui, ma è giocabile. E di là, la giochiamo).

Secondo tempo. Si riparte. Al 45esimo, il pressing del Real Aram è minore. Abbozzo di contropiede: finora, mai un cenno alle istituzioni. Lapsus o volontà?
“No, ha notato bene. Il confronto associazioni- istituzioni ha spesso avuto carattere di scontro. Non lo voglio. Io penso prima a come possiamo (ri)creare un nuovo tessuto di impresa dall’interno, in associazione. Poi saranno quasi più le istituzioni a venire da noi. Intanto, iniziamo ad aprirci anche fisicamente. Abbiamo una bellissima mostra nell’atrio, perché credo che la cultura aiuti a crescere. E poi stiamo pensando a realizzare un punto di ritrovo per tutti, magari con un bar, nello spazio esterno qui davanti. E’ volontà di comunicare con la città, le persone, il territorio”.

Facciamo un fallaccio a metà campo: sembra quasi che la Confindustria di cui Aram ha ereditato lo scettro non gli sia arrivata in grandi condizioni.
“No non direi così, nel consiglio più della metà dei consiglieri c’era anche prima. Dunque se qualcosa non andava non è stata responsabilità di Porro (l’ex presidente) o di altri. Ci sono però imprenditori un po’ distratti o non così determinati nel seguire un progetto comune.

Forse anche per questo si dice che Como perda troppe occasioni (ormai ce la giochiamo a viso aperto).
“C’è del vero. Il territorio comasco ha un enorme potenziale ma a volte tendiamo a disperderlo. Esempio: penso a quel gioiello che era IdeaComo. Nata qui, diventata un successo qui e finita come sappiamo (sparita la fiera tessile autonoma, confluita in MilanoUnica, sparita la società, resta il marchio, Ndr). Oggi però focolai interessantissimi, oltre le imprese, ci sono”.

(Dai che la partita ora sembra davvero aperta)
“Penso a quel motore culturale che è il Teatro Sociale con Barbara Minghetti e Fedora Sorrentino; penso a Officina Como, esperimento molto interessante; penso a ComoNext, che dopo le difficoltà iniziali ora è un punto di riferimento reale per le imprese”.

Ora i varchi ci sono. E allora, traversone: da Officina Como era partita l’idea di un Hub della creatività in Ticosa. Esito: stroncatura della giunta.
“Ci sono persone che non vedono certe occasioni. A me sembrava un’idea interessante. La rigenerazione urbana è un punto focale anche per noi, l’idea di portare creatività e innovazione è giusta perché all’interno di una città devi dare luoghi dove le cose iniziano, dove nascono le idee. E comunque non è detto che se qualcuno ha detto no, per noi quell’ipotesi sia finita lì…”.

Dietro quei puntini c’è un mondo, il significato è succulento ma meglio non esagerare: il team Manoukian può sempre segnare quando vuole. Il fato però è generoso: è il presidentissimo, sua sponte, che ci regala altro campo.
“In via Cecilio, dove c’è la mia azienda, sta per arrivare un’ondata di supermercati. Mah, non so. Pensi che bello, invece, sarebbe stato poter avere lì centri di ricerca, studio, tecnologia al servizio delle imprese. E invece, supermercati. Parlo spesso con Paolo De Santis, lui si artiglia alle cose, soffre, crede davvero a iniziative che possano lasciare un segno. Condivido lo spirito: in una città che ha perso il Politecnico, che manca di un’identità ed è assalita dal turismo del cono gelato, devi dare qualcosa di più, qualcosa che resti, che getti delle basi”.

La partita è finita. Ma nel tratto verso spogliatoi e tè caldo, spazio a una curiosità finale: ma un industriale-presidente-degli-industriali, ai giovanissimi ambientalisti di Fridays For Future, cosa direbbe?
“Che l’intenzione e la passione per l’ambiente sono condivisibili, sono battaglie che vedono tutti coinvolti oggi. Ma bisogna stare attenti a semplificazioni e messaggi sbagliati: la plastica nel mare è un conto. Sognare oggi un mondo senza plastica significa dire una cosa impossibile. Loro indicano una metà della mela. L’industria, che molto sta facendo la sostenibilità, deve indicare l’altra metà”.

Si lascia lo Stadium di via Raimondi 1. Il risultato lo dirà il tempo. Ah: era leadership, non prepotenza guantata.

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