La nuova ordinanza firmata dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha lasciato l’amaro in bocca a molti commercianti comaschi di confine.
Uno svizzero vaccinato può venire liberamente a Como a fare la spesa ora? No, ecco cosa serve
Secondo le nuove disposizioni in vigore dal 16 maggio, infatti, per raggiungere il nostro Paese non è più necessario il periodo di quarantena ma è obbligatorio essere in possesso dell’esito negativo di un tampone molecolare o un test rapido risalente al massimo alle 48 ore precedenti.
Se la decisione può facilitare tutti gli stranieri che decidono di trascorrere una vacanza a Como o sul lago, lo stesso non si può dire per chi vorrebbe recarsi in giornata in Italia per fare shopping o bere un caffè al bar.
E, di conseguenza, i negozi di confine come quelli di Ponte Chiasso – che vivono per il 90% di clientela svizzera – vedono il provvedimento come l’ennesima presa in giro per le loro attività.
“Sono scelte assurde – afferma esasperato Tommaso Giudici del negozio Step Shoes – la situazione per noi è drammatica e si protrae da un anno. Come negozi di confine avevamo perso il 90% della nostra clientela, ovvero gli svizzeri, già nei mesi scorsi perché non potevano venire da noi. E ora che sono vaccinati, non possono ancora. E’ davvero paradossale”.
Perché, se da una parte c’è la voglia di recarsi a Ponte Chiasso per fare spese anche grazie alle agevolazioni fiscali previste, dall’altra c’è l’incombenza del tampone da effettuare 48 ore prima. “In questi giorni abbiamo sentito molti svizzeri – osserva Tommaso – sono arrabbiati e non vogliono fare il tampone per venire qui. Noi in quanto realtà di confine, come tutta la città di Como e Varese, ne risentiamo fortemente. Il cliente svizzero ha un potere di acquisto molto forte, per noi è fondamentale”.
“Iniziamo a essere davvero molto stanchi – aggiunge – anche perché i ristori sono quello che sono. Io mi sono reinventato con la vendita online attraverso l’e-commerce, perché se avessi dovuto aspettare i clienti fisicamente non sarei qui a parlarvi. Ora la crisi è generalizzata a tutte le attività di confine, infatti molti iniziano a chiudere. È possibile che non si rendano conto che tutte queste piccole attività, che pagano come tutti le tasse allo Stato, in questo modo muoiono?”.
Lo scorso sabato, a Lavena Ponte Tresa, i commercianti hanno organizzato una manifestazione dove sono letteralmente rimasti in mutande in piazza per dimostrare la loro rabbia in virtù degli ultimi provvedimenti italiani. Che sia in arrivo una protesta anche a Ponte Chiasso? “Ci stiamo muovendo – così Tommaso – qualcosa faremo anche noi. Vogliamo capire bene cosa possiamo fare, perché bloccare il confine con la dogana comporta dei rischi, non vogliamo prendere multe ma stiamo valutando in questi giorni come muoverci”.
La situazione drammatica per le attività di confine viene evidenziata anche da Marco Cassina, presidente di Federmoda Como Confcommercio: “Da tempo mi lamento di questa assurdità – spiega – ormai siamo al 7° mese di fila senza clienti svizzeri, in totale 11 mesi su 15 da un anno e mezzo a oggi. Il problema si presenta anche per le attività di Como, che hanno il 50% di clientela svizzera. Prima non poteva entrare perché l’ingresso era consentito solo per motivi di necessità, con questo provvedimento nemmeno se sono vaccinati. Con tutto il rispetto per la tutela della salute, la situazione va approcciata a livello territoriale”.
E aggiunge: “Siamo fuori dalla situazione più critica della pandemia, ogni giorno per noi è prezioso. Come è possibile che ci sono Paesi più pratici, come la Germania, che nelle zone di confine consentono di arrivare senza tampone? Io capisco che l’Italia non possa decidere sul passaporto vaccinale finché non verrà approvato a livello europeo, ma la Germania ha risolto con la Svizzera considerando il cittadino oltreconfine come se fosse il proprio”.
Per questo, Cassina si appella ai politici locali. “Mi auguro che si muova anche la politica comasca – conclude – in un Paese dove esistono anche parlamentari eletti in un territorio, sono loro che devono preoccuparsi di fare presente il disagio. Noi avevamo sollecitato per introdurre una cintura di libera circolazione ma nessuno vuole intervenire. Inoltre, nessuno ha mai stabilito indennizzi specifici per le zone di frontiera che hanno avuto un danno maggiore rispetto ad altre zone. Cerchiamo di muoverci ora, ogni minuto è prezioso; non possiamo aspettare il 15 giugno, io mi aspetto un impegno da parte dei politici locali perché è il loro dovere”.