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Lipomo, quel figlio meraviglioso che ha salvato dall’Ucraina donne, bambini e una neonata: “Lacrime e preghiere, vorremmo fare di più”

Aprire la porta della propria casa a donne e bambini in fuga dall’Ucraina è molto più che mettere a disposizione di persone, spesso assolutamente sconosciute, un tetto sicuro, un letto e un pasto, gesto già di per sé assolutamente ammirevole. È mettersi in gioco completamente, e senza alcuna preparazione, per offrire quella che forse è la cosa più importante di tutte: affetto. Perché da quel momento, e per un tempo al momento indefinito, negli occhi di questi ospiti inaspettati si leggerà la paura di aver dovuto abbandonare tutto senza sapere se lo si ritroverà mai al proprio ritorno. E nessun giocattolo nuovo o vestito pulito potrà facilmente cancellare ferite così.

A raccontarci come il cuore vacilli davanti all’impotenza di aiutare fino in fondo, è una nonna di Lipomo che preferisce rimanere anonima, “portavoce” di un’intera famiglia che ha aperto le proprie case a nove persone in fuga dalla guerra.

“Tra casa mia, quella di mio figlio e quella di mia figlia stiamo ospitando una nonna, due mamme e sei bambini di cui una neonata di pochi giorni – racconta – mio figlio è sposato con una ragazza ucraina e hanno due bambini piccoli e il giorno in cui è scoppiata la guerra è partito subito per andare a prendere la nonna di sua moglie e una ragazza con tre bambini che già in Ucraina viveva in una situazione piuttosto complicata”.

Un viaggio infinito, rallentato dalle code di persone in fuga verso i valichi e costellato di cambi di programma e tendopoli per passare la notte, ma anche di incontri imprevisti che non è possibile ignorare: “Lungo la strada hanno incontrato una ragazza che aveva partorito venti giorni prima con un taglio cesareo e che scappava in auto con la neonata e altri due figli adolescenti – spiega – la loro macchina era rotta ma non la volevano lasciare lì perché era l’unica cosa che possedevano, così mio figlio è tornato in Italia con il primo gruppo di persone e poi è tornato a prenderli riuscendo a portare via anche l’auto”.

E ora che sono tutti al sicuro è tempo di provare a curare le ferite più profonde, quelle dell’anima: “La sera che sono arrivati erano distrutti da un viaggio lunghissimo e vedere la nonna che pregava a mani giunte di farla restare con noi mi ha spezzato il cuore – racconta – ora è ospite a casa nostra ma, per quanto proviamo a starle vicini e a farla sentire utile, spesso la vediamo silenziosa con gli occhi che le si riempiono di lacrime e vorremmo fare di più”.

A fare da barriera, spesso insormontabile, è la lingua visto che la donna parla solo ucraino: “Purtroppo mia nuora sta ospitando la mamma con tre bambini e ha poco tempo e questa nonna non ha nessuno a cui raccontare le sue angosce quindi parla, parla e posso solo ascoltarla e annuire o provare a usare il traduttore di Google. Però le ho fatto conoscere la badante ucraina di mia mamma: hanno parlato per un’ora intera e so che anche questo serve”.

E i bambini? “Loro sono i più sereni, ci siamo attivati subito per farli andare a scuola. La settimana prossima i due più grandi inizieranno a frequentare le superiori e una di loro dovrebbe iniziare anche a giocare a pallavolo mentre i due più piccoli saranno alle elementari con la mia nipotina, che parla italiano e ucraino, e probabilmente anche il piccolino di 4 anni andrà all’asilo – racconta – stiamo provando a ricostruirgli una vita normale ma il problema è che, se anche la guerra finisse, cosa troveranno al loro ritorno? Però non è possibile pensare che una famiglia di quattro persone come quella di mio figlio possa ospitare a lungo una mamma e altri tre bambini, serviranno soluzioni diverse”.

Per fortuna però, almeno in questa prima fase di emergenza, la solidarietà non è mancata e tutta la comunità si è mossa per aiutare: “Devo davvero ringraziare la Caritas di Lipomo, l’Associazione ‘Il poeta sognatore Simone’ e il Mantello che si sono attivati immediatamente fornendoci vestiti e generi alimentari, mentre la parrocchia si sta organizzando per ospitalità – dice – fino ad oggi non avevamo mai avuto bisogno di aiuto, ma è stato bellissimo anche per noi scoprire di non essere da soli”.

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