Ai giardini a lago sembrano coesistere due mondi che solo si sfiorano, ma non si incontrano mai. Si scontrano talvolta, senza mai conoscersi davvero.
Esiste una facciata, dove ci si imbatte in file di turisti che si accalcano per salire su un battello, in coppie mano nella mano pronte per un selfie panoramico sul primo bacino del lago di Como, in giovani che si riuniscono per ascoltare la musica, nei comaschi che passeggiano la domenica.
Poi c’è un retro, dove trovano rifugio i giovani immigrati arrivati dall’Africa che cercano un posto in questa città. La folla della facciata, la desolazione del retro. Il secondo sembra essere un luogo dove non è il caso di arrivare durante la propria passeggiata domenicale.
E’ mercoledì mattina, prima giornata di sole dopo nuvole e pioggia settembrine. Alla Locomotiva ci sono una decina di ragazzi. Un gruppo più folto da diversi giorni è accampato alla pista a lato di viale Vittorio Veneto: stendono i vestiti sulle panchine, danno da mangiare ai piccioni, qualcuno fa pipì di fianco a un cespuglio.
Ci sono le biciclette parcheggiate che permettono loro di muoversi per la città. Chiacchierano, mangiano, fumano, in una bolla immobile rispetto alla realtà che scorre.
Appartati, ci sono due ragazzi che parlano e fumano, mi salutano in inglese mentre passeggio. Ricambio il loro saluto e, sorpresi, mi chiedono come sto. Hanno voglia di parlare.
Mi domandano come mi chiamo, mi stringono la mano. “Mio padre mi ha insegnato che si fa così” mi spiega uno dei due.
“Grazie per averci risposto – mi dicono a un certo punto – noi salutiamo le persone anche solo per parlare un po’ ma quasi nessuno ci risponde, hanno paura che chiediamo loro soldi o altro”.
Sono giovani, mi raccontano di venire l’uno dal Gambia, l’altro dalla Libia. Sono da tre anni a Como. Il ragazzo libico mi racconta: “Sono scappato dalla guerra, ho visto tanti ragazzi come me morire, ma ho perso i documenti ed è difficile rifarli”.
Mentre parliamo un altro ragazzo si avvicina. Si chiama Laity, ha 31 anni e anche lui arriva dal Gambia. E’ sbarcato in Sicilia ma da quattro anni è a Como. “Sono stato del tempo in una casa in via Borgovico, poi sono stato trasferito a Rebbio. Adesso dormo per strada. Una volta sono stato fermato dalla Polizia perché fumavo marijuana: era mia, non spacciavo, non fumo sigarette solo erba, mi fa dormire”.
E aggiunge: “Mentre ero ospite ho frequentato due corsi per restare in Italia e trovare lavoro. Prima mi hanno fatto un contratto di tre mesi, poi uno di sei ma una volta scaduti sono rimasto senza lavoro”.
Così lui, come tutti gli altri, restano in un’attesa che pare infinita. Qualcuno la mattina porta loro biscotti e caffè per fare colazione. Il resto della giornata la passano aspettando che la burocrazia si accorga di loro. La sera, ogni tanto, vanno alla mensa dei poveri a mangiare: “Non lo faccio spesso – aggiunge Laity – mi piacerebbe mangiare di nuovo il nostro cibo”.
Li lascio, è il momento di rientrare ma prima mi chiedono: “Torni?”.