E’ stata un’illuminazione. Sarà stata la magnifica giornata con quel sole nitido d’aprile o il venticello fresco che rischiarava anche i pensieri, ma è come se d’improvviso si fossero accesi quattro fari magici tutti attorno allo stadio Sinigaglia. E pensare che, in partenza, il punto di vista era quello classico e pessimista del cronista: davanti a quegli accessi tutti transennati, chiusi, vigilati, il primo pensiero – trattandosi di giorno festivo, il 25 Aprile, e dunque di weekend lungo – è stato il classicissimo “chissà che casino oggi”.
C’era pure la partita alle 18, in pieno orario da reflusso viabilistico, figuriamoci.
Dunque, scatta foto, attendi gli ingorghi, le auto rimosse, le proteste. Il solito corollario dei match a due passi dal lago, insomma; il prezzo da pagare per lo stadio nella posizione più bella del mondo (perché diciamocelo, al di là delle mozioni affettive, l’impianto in sé ormai è un mostro, ma certo in quel posto lì farebbe bella figura persino il campetto di sassi dell’oratorio più scalcinato, se ancora esistono oratori dove si tira il pallone).
Poi, a un certo punto, la prospettiva – onirica, si sa, ma sognare è davvero diventato un reato in questa città? – è cambiata. Radicalmente. Ovvio, con un pizzico di fantasia a lungo raggio e sentendo già i brontolii di sottofondo (e poi le macchine dove le mettiamo? facile pontificare, servono parcheggi! dateci un’alternativa ecc ecc). Tutte obiezioni giustissime. Ma proviamo per un attimo a mettere la realtà tra parentesi. Proviamo a immaginare che un giorno qualcuno abbia trovato un’altra grande discarica di cemento dove lasciare ferraglie e turbodiesel in sosta immobile per ore. Un piccolo sforzo ancora e poi guardiamo come si presentava l’anello attorno allo stadio nel giorno della Liberazione, altra grande metafora a guardar bene.
Non è che serva poi chissà quale panegirico, basta guardare le foto di questa pagina. Le facciate delle società sportive liberate dal branco di musi metallici che sembrano volerle divorare, a volte, tanto sono puntate feroci verso ingressi e marciapiedi.
Famigliole, podisti, ciclisti o semplicemente pigri che passeggiano con l’arroganza pacifica della libertà in mezzo alla carreggiata.
E quel Monumento ai Caduti che svetta tra i rami verde-fluo degli alberi? Anche solo quella prospettiva riguadagnata, come fosse il terzo poema di John Milton, non varrebbe il prezzo di un gigantesco carro attrezzi in servizio permanente effettivo, da quelle parti?
Sì, residente, lo so che ti sta già fumando la testa: ma dai, siamo certi che un amministratore avveduto una qualche quota di posti per chi lì ci abita la troverà.
E quel rettifilo delle meraviglie che parte dal Transatlantico e scivola via come una folata di vento fino ad accarezzare la facciata razionale e geniale che è la parte migliore dello Frankenstein Stadium? Non è semplicemente magnifico sgombro da gas e lische di pesce rigonfie di turbodiesel?
Va bene, abbiamo sognato. Alternative a quei parcheggi non ce ne sono, gli autosili sono pieni, alle società sportive bisogna pur arrivarci e bla bla bla. Ma le avete riguardate le foto?
2 Commenti
Area morta, altro che viva…
Tutti dobbiamo morire.