Sul numero di ComoZero settimanale cartaceo uscito venerdì scorso, ci siamo occupati a lungho di sprechi e/o malagestione relativi a patrimonio e opere pubbliche.
Grande eco ha avuto un degli esempi più clamorosi, quelli delle Sale Prova musicali abbandonate al degrado in via Colonna a Como.
Como: così sono finiti i sogni dei giovani musicisti. Sale prova, vergogna a peso d’oro
Ma un altro settore dove Como ha brillato – si fa per dire – per soldi spesi a palate con esiti infimi o del tutto inesistenti è certamente quello della mobilità e della sosta. Di seguito, alleghiamo alcuni esempi riassuntivi.
Quel ponte senza fondo
Premessa: in termini assoluti, definire uno spreco il Viadotto dei Lavatoi non avrebbe alcun senso. L’opera, in sé, è utile e infatti frequentatissima. In senso lato, però, è impossibile non inserire il ponte nella cartella “buchi neri”, almeno sul fronte economico.
Qualche dato sgombera ogni dubbio: inaugurato 17 anni fa dopo una spesa del Comune di circa 6 milioni di euro, i primi problemi pesanti emersero già nel 2009 con un intervento tampone necessario per garantirne la sicurezza. Poi, nel 2017, l’abisso all’improvviso: malfunzionamenti, usura, giunti ballerini, timori di cedimenti, carte bollate.
Risultato: nell’estate di tre anni fa, prima chiusura totale temporanea, poi riapertura dimezzata con stop ai mezzi pesanti, verifiche strutturali, primi lavori di messa in sicurezza. Non gratis, ovviamente: nella fase preliminare, circa 200mila euro spesi tra urgenze varie e rattoppi.
Ora, infine, la prospettiva della radicale messa in sicurezza con un progetto da 2 milioni di euro pronto a esser appaltato entro fine mese e un lungo cantiere da giugno. Per un’opera che no, non è dell’800 ma del 2003.
Un moncherino da 300 milioni
Del Ponte dei Lavatoi e di tutti i suoi acciacchi si diceva: malconcio e costosissimo sì, inutile in termini assoluti no. Un discorso simile si può forse fare per l’unico moncherino di Tangenziale di Como che è stato realizzato fino ad oggi da Società Pedemontana.
Un’autostrada amputata la cui storia merita un riepilogo per dare l’idea del fallimento generale.
Poco più di 3 chilometri realizzati (da Villa Guardia ad Albate) sui 9 complessivi previsti in origine (il teorico prolungamento da Albate fino ad Albese con Cassano); circa 300 milioni di euro spesi con un impatto ambientale devastante (ne sanno qualcosa la piana di Grandate e quella di Civello).
Un secondo lotto che – ma toh! – si è scoperto troppo tardi sarebbe costato 800-leggi-800 milioni di euro e con ogni probabilità non sarà mai realizzato; un pedaggio costosissimo che, di fatto, soffoca sul nascere la reale utilità di massa del tronchetto effettivamente percorribile; una serie di promesse sul completamento dell’opera da far allungare nasi fino all’Equatore.
E’ sufficiente?
A ognuno il suo piano (del traffico)
Ogni Comune con più di 30mila abitanti ha l’obbligo di adottare un Piano Urbano del Traffico. Serve a coordinare gli interventi per il miglioramento della circolazione stradale nell’area urbana, dei pedoni, dei mezzi pubblici e dei veicoli privati.
Quello di Como risale all’approvazione di consiglio comunale del 2001: superata insomma la maggiore età. Eppure negli ultimi anni sono molti i soldi pubblici spesi per studiarne di nuovi con l’ausilio di specialisti. E’ stato uno dei cavalli di battaglia dell’assessore della giunta Lucini, Daniela Gerosa, e del suo dirigente di settore Pierantonio Lorini.
Due anni di lavoro, un doppio studio commissionato alla società Polinomia per una spesa complessiva di circa 72mila. Documento mai però approvato in consiglio comunale e quindi mai applicato. A giugno 2017 infatti si è insediato a Palazzo Cernezzi Mario Landriscina e solo un anno dopo il suo assessore alla Mobilità, Vincenzo Bella, ha archiviato il documento Gerosa e avviato l’iter per un nuovo Piano del Traffico che dovrebbe arrivare sul tavolo a fine anno.
Costo? Altri 108mila euro. Speriamo si arrivi al dunque prima delle prossime elezioni: si rischia di ricominciare da capo.
Gironi vuoti all’autosilo infernale
Piani circolari o gironi di un inferno desolato? L’autosilo Valmulini è probabilmente una delle opere pubbliche realizzate dal Comune che i comaschi più detestano. Ritenuto inutile, costoso e, dal trasferimento dell’ospedale Sant’Anna a San Fermo della Battaglia, praticamente una beffa.
Un autosilo quotidianamente vuoto in una città in cui non si trova mai parcheggio. Ad ogni modo il cilindrone a cinque piani, inaugurato nel 2006, è infatti costato alla comunità 11 milioni di euro. Poi nel 2010 l’ospedale Sant’Anna venne trasferito da via Napoleona a Como a San Fermo.
Così il grande autosilo, costruito prevalentemente a servizio degli utenti della struttura ospedaliera, rimase sostanzialmente vuoto. 630 posti auto e un fatturato stimato nel 2018 in 82mila euro, 75mila derivanti dall’utenza oraria, 7mila dagli abbonamenti. Dati sconfortanti, tanto che in occasione del sold out dell’8 dicembre 2018 per la Città dei Balocchi e la navetta gratuita che portava in centro, si gridò al miracolo di Natale.
Un lampo di luce in anni di buio.