Anni e anni a fantasticare, polemizzare, ipotizzare quale fosse vero “il vero volto dell’Islam” a Como, quali fossero e come fossero i suoi luoghi, e poi nello spazio di pochi minuti tutti i misteri cadono grazie alle stesse comunità musulmane del territorio. Le quali, apparentemente lontane da esigenze di particolari riserbo o sicurezza, da tempo hanno presenze visibili, del tutto pubbliche e per nulla top secret sui maggiori social network, a partire da Facebook.
Così si scopre, o almeno si riscopre, come è fatta davvero la moschea di via Domenico Pino a Como, si ha la certezza (peraltro rivendicata dagli stessi frequentatori) che per l’appunto a Camerlata è attiva una moschea senza se e senza, ma emerge anche come a Mozzate, per esempio, ne sia attiva una ancora più grande (visibile qui) oppure come a Gera Lario sia attiva un’altra forte comunità islamica, con tanto di gare per la recitazione del Corano tra i giovani.
Per ovvi motivi, l’attenzione cade principalmente sulla sede di via Pino a Como, evidentemente “sopravvissuta” senza troppi problemi alle varie battaglie portate avanti in città dalla Lega.
Le pagine di riferimento, apparentemente sono due, una intitolata “Associazione culturale islamica di Como“, meno ricca e dove spiccano in particolare alcuni temi (la battaglia a favore di Tariq Ramadan, il docente di “Studi Islamici Contemporanei” all’Università di Oxford in stato di detenzione preventiva in Francia con l’accusa di stupro su 4 donne), alternati a messaggi di pace, condivisione di video esterni e indicazioni sulla conversione all’Islam.
Poi c’è la pagina del “Centro Culturale Islamico di Como“, quella che riporta praticamente tutta l’attività della sede di via Pino. Qui i video la fanno da padrona, con le registrazioni delle preghiere del venerdì o di altre ricorrenze musulmane alla presenza di diversi Imam e predicatori. La gran parte delle orazioni è in arabo, ma non mancano le parti in italiano con l’Imam seduto o in piedi sul piedistallo alla base di una grande sedia in legno, davanti ai fedeli scalzi e inginocchiati sui tappeti (sovente varie decine di persone). Tutto ciò per cui la Lega manifestò a Camerlata ancora nel 2016, chiedendo all’allora sindaco Mario Lucini di chiudere la moschea.
I temi? Limitatamente a quando ascoltato in italiano, strettamente religiosi con l’illustrazione del Corano di volta in volta rispetto a singole questioni (la famiglia, i comportamenti del buon musulmano, i messaggi dei profeti, i pellegrinaggi, il ruolo delle moschee, la convivenza nei paesi occidentali, il Paradiso, il confronto con le cerimonie della Chiesa cattolica, ritenute da un Imam spesso più solenni e silenziose rispetto a un certo caos regnante nelle moschee; il tutto sempre in toni di dialogo e pace, senza contenuti aggressivi né tantomeno minacciosi). Non mancano, nello stesso tempo, messaggi particolari. Ne citiamo 3 nell’ordine esatto in cui appaiono cronologicamente.
Il primo (video qui sotto: punto specifico a 2 minuti e 23 secondi dalla fine e poi prosegue nel secondo video a fianco) segnala lo stretto legame tra la moschea di via Pino e quella di Cantù, nel capannone finito al centro di violente polemiche da parte della giunta a guida leghista e pure al centro di un contenzioso al Tar. Ebbene, l’imam ospite a Camerlata lo scorso 2 marzo al termine della preghiera ha fatto il punto sulle vicende nella Città del Mobile.
“A Cantù abbiamo comprato la moschea e prima di dicembre 2018 dobbiamo pagare 266mila euro e ogni mese dobbiamo pagare l’affitto di 12mila euro al mese – dice l’Imam – Le moschee in Europa hanno bisogno di aiuto tra di noi e io non mi vergogno di chiedere ai miei fratelli il vostro aiuto. Io lo so che aiuterete la nostra religione. Dobbiamo pagare 2 mesi, so che contribuirete perché la moschea di Cantù non è solo per i fratelli Cantù, è per tutti i nostri fratelli, per le prossime generazioni. Ognuno metta i suoi 50 euro, i suoi mille euro”.
Davvero impressionante, per venire a un secondo episodio, quanto accaduto in via Pino il 27 ottobre scorso, pochi giorni dopo la tragedia immane del padre 49enne, Faycal Haitot, morto con i quattro figli nel rogo che ha appiccato nella sua abitazione di via per San Fermo. Nel commentare quel dramma immenso, l’Imam – dopo aver comunque ringraziato “le autorità italiane” – se la prende soprattutto con il mancato aiuto della comunità musulmana a quell’uomo disperato (dal minuto 3 del video, circa).
“Il nostro fratello ha bussato alle porte per rimandare i suoi figli in Marocco ma nessuno ha aperto – ha detto – Voglio parlare di noi musulmani che parliamo della misericordia, di Allah misericordioso. Io so che non è venuto qui in via Pino a chiedere aiuto, ma in altre moschee sì e nessuno lo ha aiutato. Ha telefonato e qualcuno gli ha appeso il telefono in faccia. So che non possiamo dare a tutti, ma almeno un appoggio, un consiglio sì. Qualcuno dice: andiamo a fare una manifestazione. Ma quale manifestazione? Contro chi? Pensiamo a quello che non abbiamo fatto per questa famiglia piuttosto!”. Poi su qualche accusa levatasi contro il sindaco di Como, Mario Landriscina, l’Imam aggiunge “ma perché? Ma perché bisogna aprire la bocca? Chiudila e falla stare zitta. Io spero che nel Giorno del Giudizio avrai la lingua per parlare con Allah”.
Infine (video sopra dal minuto 5 circa), un terzo episodio, più lontano nel tempo e anche lontano dalle mura della moschea di via Pino. E’ il primo settembre 2017, il Ramadan si tiene nell’area di Muggiò. Ma tra le altre cose, l’Imam ringrazia “l’autorià locale che ci ha permesso di pregare in questo luogo, senza nessun pericolo e senza nessun cecchino che ci abbatte quando invochiamo Allah, come ha detto qualche altro sindaco. Come possiamo ringraziare? Rispettando la legge di questo Paese anche con i piccoli gesti: facendo il biglietto o l’abbonamento per prendere il treno. Si comincia dal basso e si arriva in alto”.