Movida violenta, maranza, baby gang. Quando si sentono termini simili scatta immediata la paura. Bene lo sa la città di Como con i “suoi” casi di delinquenza e criminalità, ad esempio in piazza Volta o, spostandosi in provincia, a Cantù. Episodi che hanno fatto discutere a lungo e hanno spinto a compiere riflessioni sociologiche sui giovani di oggi. E allora l’interrogativo sorge spontaneo: si è difronte a un allarme?
A rispondere, allargando la visuale sul tema sicurezza a tutto il territorio, passando dagli immigrati irregolari per finire alla criminalità organizzata radicata sempre di più anche al Nord, è Marco Calì, questore di Como dal marzo del 2024.
“La movida c’è, e meno male che è così. Io sono un fan dei giovani: hanno energia, visione e qualità. Sono il nostro presente. Ovvio che dove c’è gente – e a Como grazie anche al turismo arrivano sempre più persone – si possono creare situazioni a rischio che non vanno sottovalutate. Quindi ben venga la movida che poi significa socialità e interazione. A noi il compito di controllare. Siamo poi difronte a una generazione che per svariati motivi – dal Covid, all’incertezza per il futuro – mostra problemi di fragilità che in alcuni momenti purtroppo si concretizzano in atteggiamenti negativi, soprattutto quando ci si ritrova in gruppo. Se poi certi giovani li si va a prendere singolarmente si vede come tutto cambia. Mente l’essere insieme, magari consumando alcol spesso li deresponsabilizza spingendoli a compiere gesti sbagliati”.
Impossibile anche solo pensare “di chiudere la città o mettere un coprifuoco. Sarebbe antitetico all’idea stessa di città. Però dico anche: obiettivamente quanti episodi ci sono stati? A Cantù in piazza abbiamo eseguito diversi fermi, in piazza Volta gli interventi sono immediati. Insomma, ci siamo, controlliamo e si tratta di luoghi sicuri”.
E se un tempo il termine maranza indicava persone non proprio “alla moda”, oggi invece si pensa subito a quei gruppi di giovani violenti e senza scrupoli che infastidiscono e spesso si danno appuntamento per picchiarsi o devastare. “A Como e nel territorio non viviamo tali situazioni”, spiega il questore che sottolinea come ci si trovi di fronte a una società in continuo mutamento e che in tale contesto la “sicurezza va considerata come un organismo vivente che si evolve, una pianta su cui lavorare. Va innaffiata, curata. Nel caso dei giovani capita purtroppo spesso di trovarsi di fronte a ragazzi che ormai sono italiani di seconda e terza generazione che poi si uniscono ad altri gruppi. Si tratta spesso di ragazzi con deficit familiari, difficoltà di inserimento a scuola e nella società. Un mix che li fa sentire ai margini e che li porta a sfogarsi in maniera errata. Interpretano così la loro voglia di emergere”.
Altra questione è quella delle bande di latinos che “sul nostro territorio non esistono. Si tratta infatti di realtà criminali vere e proprie con le loro regole e attività criminose specifiche che non si sono radicate nel Comasco”. E in questa società in perenne mutamento un’importanza notevole l’ha sempre più assunta la sfera social, il web e l’utilizzo purtroppo spesso scorretto di questi strumenti. “Sono stato il primo a emettere degli ammonimenti per cyber bullismo. Una volta arrivato in questura ho domandato informazioni sul fenomeno e mi è stato detto che non c’era: mi è parso subito impossibile e infatti, anche da noi serpeggia questa tendenza negativa. E di recente siamo intervenuti”.
Ma la sottolineatura è soprattutto indirizzata ad un altro elemento. “Spesso si pensa che certe situazioni si possano affrontare solo in via giudiziaria ma non è così. Il legislatore fornisce diversi strumenti da poter usare prima di andare in aula. Abbiamo mezzi veloci e rieducativi che permettono così di rimettere magari in careggiata certi ragazzi prima di finire nel penale. Per questo si possono usare ad esempio delle prescrizioni con divieto di utilizzare strumenti per l’accesso al web per tot mesi”, spiega il questore.
Infine, ampliando lo sguardo dai singoli casi criminali al territorio nel suo complesso il ragionamento è chiaro. “Sono da quasi 16 mesi qui a Como, non tantissimo tempo ma comunque sufficiente per capire che questo contesto è in evoluzione. A Como convive un forte tessuto socioeconomico e imprenditoriale e turistico. Fatto che ha portato alla creazione di un vero e proprio brand – racconta – e ciò porta anche risvolti negativi. Inevitabilmente dove ci sono sempre più persone e sempre più attività, si infiltrano soggetti dediti al malaffare o che vivono ai margini basandosi su espedienti. Si può però dire che il territorio comasco è sicuro. Certo, anche qui si parla di eventi criminosi ma non sono tanti, va detto, altrimenti si rischia di trasmettere un’idea di preoccupazione che è antitetica a ciò che avviene. Fermo restando che ciò per noi è solo un punto di partenza”.
Se il territorio dunque è sano, e produce “va difeso. Noi facciamo la nostra parte e mi assumo più che volentieri questo onere. Abbiamo innanzitutto deciso di utilizzare tutti gli strumenti di cui disponiamo: dagli accompagnamenti alla frontiera, tema sul quale posso dire che i numeri pongono Como sul podio nazionale. Monitoriamo i soggetti che si sono distinti per condotte criminali, pericolosità sociale, quotidianità molesta e che mostrano una mancanza di volontà nel volersi inserire. Ricorriamo poi a espulsioni e accompagnamenti nei cpr. Forte il ricorso anche a ordini di allontanamento, daspo urbani, dacur, fogli di via, avvisi orali, ammonimenti”.
Impegno che si sposta poi anche sulle strade con i controlli, ad esempio, sulla Regina. “Dal mio arrivo il posto di polizia in Tremezzina che partiva il 15 giugno è stato anticipato prima a inizio giugno e poi al 15 maggio. Ma penso che la soluzione a tale realtà sia da cercare altrove. La conformazione del territorio è quella che tutti noi conosciamo, anche più poliziotti non cambiano il fatto che la gente voglia venire sul lago e lo faccia a prescindere”.
Prima di salutarci impossibile non fare un breve cenno anche alla criminalità organizzata sempre più radicata anche al Nord. “In passato c’era chi pensava che il Nord ne fosse esente poi si è ben visto non essere così. Ricordo anni fa quando ero alla Squadra mobile di Genova, il caso di un comune (Lavagna) in cui tutti dal sindaco agli assessori erano collusi. Questo solo per dire che la criminalità organizzata ha cambiato volto ma si è sempre più radicata anche da noi. Si è messa la cravatta e non si presenta più con la pistola in mano. Assume un’apparenza normale ma continua ad operare. E quando ci entri in contatto – a volte lo cerchi tale contatto pensando di poterlo gestire – è tutto finito. Ho visto ad esempio tantissimi imprenditori che credevano di risolvere i loro problemi chiedendo aiuto alle persone sbagliate e poi, tutti, hanno dovuto pagare un conto salato. Questa fusione va bloccata, ci si deve domandare, ad esempio, tutti questi soldi che certi soggetti possono mettere a disposizione senza difficoltà da dove arrivano? La vera sfida è riuscire a far capire alle persone di non accogliere nella società, a tutti i livelli, questi soggetti che compaiono magicamente sulla scena. Da parte nostra poi è decisivo sviluppare sempre di più investigazioni sofisticate per intervenire chirurgicamente”.