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CINEMA “A Quiet Place”: regia scarsa, paure artificiali, poco da dire

Terzo film dell’attore John Krasinski, A Quiet Place, lanciato con tutti gli onori dalla Paramount proprio durante il Superbowl, è un modestissimo horror che Jason Blum e i suoi avrebbero potuto girare con un quarto del budget e il doppio delle idee, senza perdere continuamente per strada la sospensione dell’incredulità, ovvero l’unico strumento che consente al pubblico di credere a quello che avviene sullo schermo, immergendosi nel terrore, che il film vorrebbe suscitare.

La premessa è semplicissima: in un futuro imprecisato, una minaccia aliena ha invaso la terra. I mostri voracissimi sono ciechi, ma capaci di captare il minimo rumore: accorrono in un lampo e divorano tutto quello che trovano.
Una famiglia, gli Abbott – padre, madre, tre figli ancora piccoli – vive in una sorta di fattoria immersa nella campagna, dove, nonostante nessuno possa più usare utensili o macchine, i campi sono perfettamente arati e coltivati.

Il film comincia nel giorno 89 dell’invasione, gli Abbott sono in città in uno store a raccogliere, a piedi nudi e silenziosamente, cibo, medicine e quant’altro possa permettere la loro sopravvivenza. Hanno segnato il percorso verso casa con la sabbia per non fare alcun rumore.
Lungo il cammino non incontrano altri esseri umani. Poichè una delle figlie è sordomuta, comunicano tra loro perfettamente con la lingua dei segni, ma uno stupido incidente porta dritto alla tragedia.


Saltiamo al giorno 472. La famigliola infelice sta ancora elaborando il lutto, ha cercato modi per sopravvivere senza far rumore, ha ingegnato un sistema di luci clorate, per avvertire gli altri dell’eventuale presenza di alieni, e nello scantinato ha un sistema di videosorveglianza e radio, che sembrano arrivare dagli anni ’60 e non dal prossimo futuro. Tuttavia il vero mistero del film è perchè non abbiano provveduto a isolare la propria casa: gli Abbott vivono invece con porte e finestre spalancate, terrorizzati dal minimo rumore.


Ovviamente però tutto questo silenzio è impossibile da mantenere a lungo. Soprattutto perchè, con una bella trovata, che solo la mente di un uno sceneggiatore avrebbe potuto partorire, la moglie è rimasta incinta e sta per dare alla luce un bambino: è la situazione ideale, come ciascuno può immaginare, per mantenere l’irreale silenzio, che deve accompagnare l’esistenza dei sopravvissuti.

Spesso i film horror flirtano con la stupidità umana: i personaggi fanno cose stupide, sono mossi da obiettivi stupidi oppure reagiscono al pericolo in modo stupido. Talvolta invece sono proprio scritti e girati in modo illogico o pedestre.
A Quiet Place ha entrambe le ‘qualità’: non solo gli Abbott sembrano completamente idioti nelle loro scelte di vita e nei loro comportamenti, ma ciascuno dei personaggi sembra muoversi esattamente come una marionetta nelle mani di uno sceneggiatore-puparo, che li usa per massimizzare la tensione.


La stessa questione della maternità, preparata per metà del film, si risolve incredibilmente fuori campo, mentre siamo impegnati a seguire gli altri personaggi. Era un’idea completamente irrazionale, d’accordo, ma una volta introdotta nel film poteva essere interessante. Invece sostanzialmente non ha alcuno sviluppo concreto.
Quanto al chiodo che improvvisamente compare conficcato sui gradini di una scala, rivolto verso l’alto, proprio perchè qualcuno ci affondi il piede nudo, la cosa è talmente smaccata, da far sorridere.

Ma non si tratta di singoli momenti incoerenti, è tutta la logica del film a fare acqua. Se gli alieni sono ipersensibili al rumore, pensare di sopravvivere nel silenzio assoluto è una pura idiozia. Piuttosto occorre creare un rumore di fondo costante, che copra suoni e voci, confondendo il nemico, così come mostra il padre al figlio, nelle scene sul fiume o vicino alla cascata. Ma anche questa intuizione rimane monca: buona per imbastire finalmente un paio di scenette di dialogo vero e non con i segni, e nulla più.

Quanto alla suspense e alla paura, il film la induce pavlovianamente con dei soprassalti sonori che sono l’unica cifra del film: è evidente che nel silenzio assoluto, qualsiasi rumore improvviso fa sobbalzare sulla sedia, ma appunto, siamo di fronte a stimoli sensoriali da laboratorio, non ad una regia capace di costruire una tensione vera.

La regia scolastica di Krasinski gioca con i piani e la profondità di campo come farebbe un qualsiasi neofita del genere, assecondando una sceneggiatura scritta con Bryan Woods e Scott Beck, che sembra aderire completamente ai cliché del B-movie, sprecando la metafora horror e lo spunto originale, senza raccontarci davvero nulla, non solo sul nucleo familiare protagonista, ma neppure sulla nostra società della comunicazione continua, costretta improvvisamente al silenzio più assordante.

Alla fine allora, A Quiet Place, come i suoi protagonisti, è un film che non ha molto da dire: prevalgono le risposte più semplici, persino un po’ reazionarie, con la protagonista che, dopo aver fatto silenzio per 95 minuti, decide che è meglio risolverla fucile alla mano: it’s the american way.
A questo punto, facciamo silenzio anche noi.

A QUIET PLACE – UN POSTO TRANQUILLO
REGIA: John Krasinski
ATTORI: Emily Blunt, John Krasinski
Produzione: USA, 2018
Durata: 95 minuti

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