Molto si può dire di Bruno Magatti, ex assessore ai Servizi Sociali (Giunta Lucini) oggi consigliere d’opposizione.
Molto si può dire, ma è doveroso riconoscere che nei giorni in cui esplose il caso migranti (qui) a Como (estate 2016, stazione San Giovanni) si buttò, letteralmente (avverbio non casuale), testa e mani e piedi nella gestione della vicenda.
Ancora: molto si può con diritto dire (quindi opinare: non è affatto ovvio se ne debba sposare, approvare, appoggiare linea e ragionamento) ma è ancora doveroso riconoscere all’uomo un’azione politica lineare, pensata (a volte al limite del parossismo), figlia di un’etica riconoscibile, chiarissima, sempre e comunque coerente. Molto appassionata all’umano e al diritto del medesimo.
Gli echi di quel tempo si spengono, come è normale (forse) che sia, nella memoria. Ma, prima di ogni meritoria organizzazione sociale (cristiana e laica), prima di centinaia di volontari, l’ex assessore visse giorni di presidio quasi permanente nei giardini dello scalo ferroviario.
In definitiva è a Magatti che si deve l’individuazione (per espressa richiesta dello Stato, cioè del Ministero dell’Interno e quindi, per emanazione, della Prefettura cittadina) dell’area ex Stecav di via Regina poi unanimemente riconosciuta come, giustappunto: “Centro migranti”.
Torti, errori e ragioni li definiranno Tempo e Storia. Ma certo Magatti è persona legittimata, più di molte, a intervenire sulla notizia anticipata ieri sera tra queste pagine: Via Regina, la grande smobilitazione. Nel silenzio assoluto il campo è stato svuotato
“Il campo governativo di via Regina a Como è stato definitivamente svuotato. Chiusura. Alle parole affidiamo la manifestazione del nostro pensiero e del nostro ‘essere’. Chiusura è un termine oggi troppo usato, insieme ad altre: Fuori . Loro. Respingimenti”, ha scritto oggi Magatti.
Sappiamo – ha aggiunto – che il campo che oggi è stato svuotato ha certamente svolto in questi due anni una funzione ‘istituzionale’ preziosissima di raccolta, recupero e reindirizzamento di situazioni complesse e in taluni casi delicatissime. Ha rappresentato un presidio di cura e di umanità che, grazie alle istituzioni che lo hanno voluto (in primis l’amministratore comunale che gestì l’emergenza stazione del 2016), agli operatori presenti e a coloro che dall’esterno lo hanno supportato, ha dato prova di quella civiltà e di quella cultura dell’umano di cui siamo figli e alla quale molti di noi non intendono rinunciare.
Credere di poterne fare a meno è solo un segnale di grande debolezza e di insipienza politica.
Non risolve, infatti, alcun problema e probabilmente ne genererà di nuovi e più difficili da governare.
Resto, infatti, fermamente convinto che la tutela che molti nostri concittadini giustamente invocano si realizzi prima di tutto con un’azione di presa in carico e di cura (sanitaria ma anche giuridica, educativa e relazionale) di tutti coloro che si trovano in situazioni di abbandono, solitudine, indigenza.
Nessuna persona che lealmente rifletta su questi grandi problemi può pensare preferibile l’abbandono e la conseguente deriva in aree di penombra e di sfruttamento.
Qualcuno potrebbe tacciare Magatti di faziosità bolscevica. Ma è bene ricordare che la chiusura del Centro fortissimamente voluta e ottenuta dalla Lega (Alessandra Locatelli e Nicola Molteni in testa che hanno coerentemente esultato davanti al proprio elettorato per una promessa mantenuta) ha radicalmente diviso il centrodestra cittadino, causando scompensi quasi senza precedenti tra alleati, qui giusto un paio di esempi:
Star Wars: sul centro migranti scoppia la guerra Alessio Butti-Nicola Molteni
Migranti, Forza Italia spalanca le porte all’opposizione. Tufano: “Chiudere via Regina non ha senso”