Il Comune, ma in genere tutti i Comuni, non nascono per fare gli imprenditori, per trarre utili dalle proprie attività, su questo non c’è dubbio. E’ altrettanto vero, però, che la sacrosanta funzione sociale nell’erogazione di servizi ai cittadini – peraltro dietro congruo pagamento di imposte – non può generare in eterno pozzi neri e colossali perdite di bilancio. Tra questi due estremi, probabilmente, si aprirà a breve una profonda riflessione sul servizio degli asili nido a Como, per esempio. Tutti i numeri disponibili a oggi vanno in questa direzione (sebbene i più freschi, allegati al Documento unico di programmazione atteso in consiglio comunale a giorni, siano fermi al 31 dicembre 2016).
Il dato più clamoroso è, in realtà, quello ampiamente più noto: a fronte di un milione e 88mila euro di introiti, il servizio è costato direttamente alla casse comunali qualcosa come 4 milioni e 800mila euro. Un passivo enorme, dunque, di circa 3 milioni e 800mila euro, cifra però assolutamente in media con gli ultimi anni, forse decenni.
Paradossalmente, sebbene il passivo appena citato sia oggettivamente impressionate, l’aspetto più preoccupante viene dalla fotografia circa l’impiego di tanti soldi. I dati ufficiali, infatti, parlano di quei 4,8 milioni come della spesa necessaria per soli 608 bambini frequentanti. E c’è di più: dai dati 2016 emerge che nonostante le poche nuove domande presentate per l’accesso ai nidi comunali – 273 in tutto – il Comune alla fine ne ha accolte concretamente soltanto 223 rispetto alle 273 presentate, suddivise (a partire dal primo settembre 2016, con la chiusura del “Nuvoletta” di Camerlata) in 9 strutture.
A fronte di questi numeri, si comprende il senso del passaggio vagamente criptico sul futuro del servizio contenuto nel Dup comunale: “Il complesso dei servizi alla prima infanzia rappresenta un punto di forza fra gli interventi erogati dall’Amministrazione comunale e un presidio riconosciuto ed efficace in grado di fornire risposte differenziate e a supporto dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie”. Poi il passaggio cruciale: “Tale responsabilità comporta, però, un consistente impegno di risorse umane ed economiche. Nonostante i correttivi attivati negli scorsi anni, volti a un più puntuale e razionale utilizzo delle strutture, la costante riduzione del personale, a seguito di pensionamenti nei diversi ruoli, rende sempre più difficoltosa la gestione nella sua complessità e il presidio puntuale di tutti i servizi, limita il numero dei bambini accoglibili annualmente e pregiudica il pieno utilizzo delle strutture, molte delle quali continuano ad essere fortemente sottoutilizzate, seppure da ciò non consegua una riduzione dei costi di funzionamento e permangano domande, presentate fuori termine, in lista d’attesa. Il programma prevede, pertanto, un’attenta verifica dei servizi in essere – asili nido e servizi integrativi – al fine di individuare correttivi condivisibili e sostenibili, che possano apportare benefici a lungo termine, mantenere la già elevata qualità degli interventi e garantire risposte efficaci ai bisogni espressi dalle famiglie”.
La sensazione, dunque, è che l’assessore alle Politiche Educative, Amelia Locatelli, dopo la questione mense che divampa in questi giorni, dovrà occuparsi in maniera non semplice anche del caso-nidi.