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“Quando ero brigatista”: Cecco Bellosi racconta i suoi anni nella lotta armata rossa

Una notte del 1972, fuori dalla villa del pittore Renato Guttuso, Francesco “Cecco” Bellosi aspettava i suoi compagni, stringendo una Walther calibro 7.65. Lui all’esterno e i due all’interno erano membri di Lavoro Illegale (LI), banda armata collegata a Potere Operaio e nata sulla scia della bomba di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e del tentato Golpe Borghese del 1970.
Bellosi, originario di Colonno, era il responsabile della sezione nord-ovest già dal 1970, e dirigeva un gruppo clandestino di circa quindici militanti comaschi. La rapina a Renato Guttuso, nel Varesotto, doveva essere il loro primo atto di autofinanziamento.

“Eravamo preparati. Avevamo sparato nelle caverne sopra Tremezzo. Una nostra compagna aveva scoperto che la villa era vuota – racconta Bellosi, ricordando l’azione – ma alcune luci si sono accese mentre i nostri erano ancora dentro. Sono scappati dalla finestra, rincorsi dal custode con un fucile. Ho puntato la pistola, l’ho disarmato e sono scappato. Da quel momento ci siamo occupati solo di banche”.

Bellosi, ora 70enne, racconta il raid fallito come una storia di guerra, con una punta di divertimento. Fosse solo per l’aria dimessa e la testa canuta, non si direbbe di trovarsi davanti a uno dei personaggi di spicco della sinistra radicale degli Anni di Piombo nel Nord Italia. Proprio per la dimestichezza con il territorio, il “Gruppo di Como” comandato da Bellosi si occupava di spostare armi e fuggiaschi attraverso il confine con la Svizzera.

“C’era una rete informale di sostenitori con cui recuperavamo documenti falsi o auto per trasportare le armi di contrabbando che compravamo in Liechtenstein – spiega Bellosi descrivendo il lavoro di LI – Il sostegno era tale che tra il ‘72 e il ‘74 abbiamo tenuto diverse riunioni con i brigatisti Mario Moretti e Alberto Franceschini in alcune ville del lago, vuote, grazie alla connivenza dei custodi”. La cellula comasca di Lavoro Illegale sarebbe durata fino al 1977, anno simbolico per la sconfitta e frammentazione del cosiddetto Movimento del ‘77.

“C’è chi è finito a farsi di eroina, chi ha abbandonato il movimento – spiega Cecco, parlando della deriva del gruppo – Noi eravamo rimasti in undici. La maggioranza volle unirsi alle Brigate Rosse”.
Il gruppo di Como venne quindi inglobato nella Colonna Walter Alasia, formazione brigatista attiva nel milanese. “Era il nostro legame di amicizia a renderci efficienti. Quando siamo entrati nella Colonna, ci hanno diviso – racconta l’ex brigatista, accennando a come la coesione del Gruppo destasse inquietudine nella Colonna – salvo poi riunirci ogni quindici giorni per le rapine”.

Bellosi è rimasto con la Walter Alasia fino al 1979, quando giunse la condanna a dodici anni per banda armata e rapina di autofinanziamento. Da oltre venti Bellosi lavora come direttore della Comunità Il Gabbiano, una onlus per il recupero di tossicodipendenti. “Guardando indietro ho causato dolore alle persone più vicine a me, mia moglie e mia figlia. Facevo poi parte di un’organizzazione che ha inferto tanto ulteriore dolore. Pur non essendo stato condannato per fatti di sangue, sono moralmente responsabile – risponde Bellosi, quando gli si chiede di guardarsi indietro – Ma provo anche un profondo dolore per i miei compagni uccisi o torturati. Anche lo Stato dovrebbe guardarsi indietro”.

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