Sei negozi chiusi in meno di un anno, gli ultimi nell’arco di questi mesi. Qualsiasi cosa stia accadendo, è in corso un mutamento – se non radicale certamente sostanziale – in via Bernardino Luini a Como e, probabilmente, nel sistema commercio della città. Fatto non nuovo, i centri (soprattutto se turistici) sono in costante trasformazione, ma certamente quanto accade è un indicatore sociale, economico, finanziario, quindi politico e come tale va raccontato e, forse, compreso.
Prima la serranda si è abbassata per lo storico Rigamonti Calzature (trasferito nel primo esercizio aperto, quello di via Milano), poi per Frigerio dischi (ora nella sede via Garibaldi), quindi per il negozio Mont Blanc (ora nella sede di via Giulini) e per la La Cafferia aperta al suo fianco. Altri due esercizi, che però hanno a che fare con vicende nazionali, hanno girato per l’ultima volta la serratura poco tempo fa: Via Maestra e Promod.
Ogni caso è storia a sé, talora si è trattato di una scelta del commerciante, altrimenti di un contratto arrivato al termine naturale e troppo oneroso da sostenere, oppure di un’offerta irrinunciabile arrivata da grossi gruppi. Tuttavia, in quattro storie su sei si parla di attività locali, di impresa locale, di negozi storici o quantomeno presenti da tempo.
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DIVENTEREMO UN UNICO, INFINITO, CENTRO COMMERCIALE INDISTINTO E UGUALE?
Si è detto, è in atto una trasformazione in un Centro Storico che certo non assomiglia più alla realtà di 20 anni fa affollata di negozi di quartiere, artigiani, ortolani, formaggiai, panettieri, macellai. Cambia il mondo, cambia il rapporto domanda-offerta, arriva il turismo che non è certo un male ma sposta gli equilibri.
Poi ci sono gli ultimi avamposti, i resistenti, quanti rimangono. Mentre d’intorno, tra catene commerciali, grande distribuzione e fondi di investimento, il microcosmo comasco fa la muta di anno in anno.
E’ il caso dell’Enoteca Gigi il cui titolare, lo storico patron Giuseppe Bizzotto, conduce l’impresa insieme con la famiglia (la moglie Paola, i figli Umberto e Francesco, oltre a alcuni collaboratori). “La riflessione parte dagli anni ’70 – spiega Bizzotto – quando la popolazione del centro storico, cioè le nuove generazioni di allora, ha dovuto uscire dal centro. Il lavoro in convalle era finito. Gli stabilimenti erano fuori, si cercava casa all’esterno della città. Lipomo, per esempio, non esisteva quasi, si è popolata in quegli anni”.
Insomma, il centro si è spopolato. “Così sono spariti i negozi di vicinato e anche quanti hanno resistito sono stati fagocitati dai supermercati”.
L’Enoteca, insomma, rimane tra i baluardi della resistenza. “Abbiamo dovuto fare delle scelte, ci siamo specializzati . Non potevamo inseguire monomarche o prodotti famosi”. Inoltre la famiglia è proprietaria dei muri occupati dal negozio: “Gli affitti in centro sono incredibili”, evidenzia Bizzotto.
Sul fronte chiusure in via Luini, poi, spiega: “In alcuni casi si tratta di fallimenti nazionali, in altri casi si tratta di affitti scaduti non rinnovati perché onerosi”. E così, spesso, subentra la grande catena: “Le catene possono pagare molto bene le cosiddette buonuscite”. Risultato è una prevalenza di abbigliamento. “Ahimè, sì. Il valore aggiunto dei centri storici è la cortesia unita alla diversificazione dell’offerta. Non si può avere il monoprodotto, non va sottovalutata questa situazione”.
Nell’intervista, un’analisi completa e dettagliata:
Altra vicenda è quella di Michele Cappelletti, titolare di Calzature Rigamonti. Chiuso il negozio di Via Luini oggi ha trasferito l’attività nella prima sede, quella originaria della nonna, in Via Milano Bassa, sotto i portici. Una storia che parte da lontano. Quattro esercizi fino a qualche tempo fa, uno di questi a Cernobbio. Il primo in via cinque Giornate. “Un anno e mezzo fa abbiamo chiuso, dopo la cancellazione dei parcheggi di piazza Roma, via Cinque Giornate è morta”. Poi giù la saracinesca in via Luini. Esito identico ma storia diversa, perché è arrivata un’offerta che Cappelleti non poteva rifiutare: “E’ passato un treno e l’abbiamo preso”. Il locomotore è stato un grosso fondo di investimenti. “La posizione era parecchio impegnativa da mantenere, per noi tra dipendenti e spese – evidenzia – così abbiamo affittato gli spazi siamo tornati alle origini, dove ha aperto mia nonna. E devo dire che via Milano è un po’ la vecchia Como, con negozi di vicinato e un atmosfera di quartiere”.
Il racconto, integrale con diversi dettagli, qui:
Altro fortilizio è il Fornaio Tina Beretta. La titolare oggi è la figlia, Ramona Laguda. “La difficoltà degli ultimi anni riguarda anche i dipendenti, non c’è più l’umiltà di una volta. Si fatica a trovare personale disposto a fare lavori umili come il nostro. E’ semplice però: si tratta di mettere il pane nel sacchetto e lavare i vetri, cose che io faccio serenamente”. Altro fattore: “Le tasse per le piccole e medie imprese creano affaticamento. Io mia madre e mio padre lavoriamo come dannati, certo siamo i titolari ma lavoriamo costantemente e cerchiamo innovazione, novità, tecnologie avanzate per rimanere a galla”. Quindi sul Centro Storico: “Il problema – dice Laguda – è che si trovano sempre le stesse cose come vestiti e scarpe. Aggiungiamo il tema dei parcheggi, ci vogliono 40 minuti per trovare un posto. Così le persone vanno nei centri commerciali a due passi da casa”.
Un’analisi che non guarda solo al commercio ma anche alle difficoltà nel reperire personale adatto, qui:
CONFCOMMERCIO: LA CHIAVE E’ RIQUALIFICARSI
“Non siamo piegati alle grandi catene o ai fondi di investimento” spiega Giovanni Ciceri, presidente della Confcommercio di Como. “Il problema semmai sono gli affitti troppo alti e noi non vogliamo la desertificazione. Il nostro impegno per i negozi tradizionali e storici, tra abbigliamento e alimentari, è totale. Sono tutte realtà che hanno ragion d’essere”. La questione affitti è seria. “Stiamo ragionando perché la piccola impresa non venga trattata come la grande distribuzione, è evidente che vi sono possibilità economiche diverse, per questo dialoghiamo con le Istituzioni. E’ necessario aprire una riflessione”.
Obiettivo: “Difendere l’esistente, mantenere il negozio così com’è”. E se molti esercenti sottolineano come l’abbigliamento sia l’offerta prevalente in città Ciceri evidenzia che: “Tutti i grandi centri di città splendide e importanti come Como hanno questo destino. Dove ieri c’era una merceria oggi c’è la catena di intimo, è una questione globale. Però è possibile riqualificarsi: penso a un vecchio salumaio, nella nostra provincia, che si è rilanciato proponendo una linea enogastronomica alternativa alla grande distribuzione e ce l’ha fatta. Noi siamo qui per questo. Poi so benissimo che sarà difficile avere il verduraio sotto casa come 30 anni fa”. Insomma Como, “sta diventando un centro sempre più importante. Il borsino immobiliare evidenzia valori in costante crescita, molti ristrutturano e poi aprono case vacanza o B&B, bisogna considerare anche questo fenomeno”.
Ma questa è un’altra storia e ne riparleremo in modo più approfondito, con l’attenzione che merita, vero presidente? “Giusto”.