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A spasso in una sinfonia tra prato, bosco e fiori custoditi nel cuore di Como. E la fontana segreta delle tartarughe e due pensieri

Da lontano le sirene della polizia e delle ambulanze sono un fischio sottile, le auto un borbottio lieve e ininterrotto. Qui è tutto ovattato, gli alberi della collina sono una rete che cattura il suono, lo rieduca e lo ingentilisce, gli toglie l’indisciplina poco discreta dell’urbanità, così la città si fa lontana e finisci per dimenticarla. Dentro è difficile incontrare un’anima ma quando la trovi ecco che ti saluta con un sorriso, quasi stessi camminando lungo un sentiero tra i monti.

Così oggi passi davanti a questo posto per caso, stai facendo altro però decidi di entrare, d’impulso, senza intenzioni chiare. Ma quando sali lo stradone principale sai già che per una volta non cercherai quello che per decenni è stato raccontato, e che hai raccontato anche tu, il San Martino che fu, ospedale psichiatrico, poi la venuta di Basaglia, i ricoverati e quello che accadde. Nemmeno il San Martino che è, tra servizi sanitari e palazzine abbandonate nel degrado. E neppure il San Martino che sarà, o potrebbe essere, tra le mille intenzioni gemmate negli anni, dal campus universitario al polo scolastico.

Il San Martino che vedi oggi è una primizia, letteralmente, di fiori giovanissimi che spuntano, magnolie imbiancate, alberi che tornano al verde ciccione d’acqua, e sano, della bella stagione. E trovi il grande pratone che parte dalla chiesa ortodossa e arriva a farsi abbracciare dalla Cappelletta. E’ un concerto, un ensemble di vita tra insetti e piante.

Alberi secolari accompagnano il tuo passo lungo tutte le strade e i camminamenti.

E i colori ti esplodono davanti agli occhi quando meno te lo aspetti.

Certo, la luce di questo sabato 16 marzo è come aggiungere zucchero al miele. Ogni cosa oggi è perfetta, così com’è. Esattamente dov’è. Non devi toccare, devi solo guardare, passeggiare pianissimo e impegnare un po’ di più il naso perché anche gli odori sono parte fondamentale del racconto che ti stanno facendo le cose. Sì, qualche magagna la trovi e la foto la fai, ma oggi non è il giorno. Perché qui, adesso, tutto è bello e anche vecchi pneumatici diventano vasi pensili.

Poi, e ti chiedi come in oltre vent’anni di cronache e reportage non te ne sia mai accorto, scopri qualcosa di nuovo, una fontana seminascosta. Probabilmente è un segreto solo per te, ma che bello incontrare cose che ancora non sai. Accorgerti di quello che è nuovo, mai visto.

E di più, in un’acqua certo non limpida, se la sguazzano con flemma grande e felicità lussuriosa le tartarughe, ne conti almeno due. Ma sono timide, le ragazze. Se ti avvicini si immergono e le foto sono così-così.

Poi ne trovi una morta, sembra molto giovane. Ma non è una cosa triste. Fa parte del ciclo di cui in questo momento fai parte anche tu.

Il tuo giro semiclandestino è finito e altre cose ti chiamano e hai da fare. Ma ti senti un po’ Caboto, anche se il mare non c’è, hai esplorato, scoperto e soprattutto conosciuto. E mentre esci ti assale il dubbio atroce e ti dici mille cose diverse, tutte opposte.

Pensi subito quello che chiunque, a ragione, penserebbe: dovrebbe essere un parco aperto, vissuto. Immagini i pic-nic la domenica con le tovaglie a scacchi e il baretto dove i nonni giocano a scopa e chi fa sport nel bosco. Un sogno.

Già, e poi? Poi sarebbe instagrammato, recensito, calpestato e fagocitato dalla truppa bulimica dell’esserci, del farlo perché si deve.

Però, ti dici, i comaschi se lo meritano un posto dove il verde è sinfonia, l’aria ritmo, gli alberi tempo. Dove trovare quello che oggi si raggiunge solo in auto.

Ma forse no, invece, meglio un po’ di fatiscenza, che i servizi sanitari e le associazioni, l’hospice e la chiesa restino senza impicci e gente tra i piedi. Sentinelle e custodi di un luogo perduto ma, nel complesso, protetto, non devastato dal turismo. Che la natura sia lasciata in pace. E che la pace sia lasciata in pace.

O forse no, ancora. Forse bisognerebbe fare come Villa del Balbianello che giusto ieri ha ricordato come, da Pasqua in poi, ci sarà una nuova stretta sugli ingressi. E l’hanno spiegata benissimo: “Una decisione storica assunta la scorsa estate per tutelare Villa del Balbianello da un eccesso di turismo che si riversa sempre più sul Lago di Como e che non solo mette a serio rischio la conservazione di un bene culturale come questo, ma danneggia anche la sua immagine e il suo valore immateriale, perché snatura il luogo, banalizza la sua storia e ne attenua il fascino”. Ecco, forse e chissà l’uovo di Colombo.

Ma per fortuna, tua e di tutti gli altri, non sei tu che decidi. Fiu. Esci, ringrazi il Fato (con la maiuscola) di averti fatto inciampare qui. E sai che oggi è stato un giorno buono e bello.

Ah, piesse: da qui l’Eremo di San Donato è magnifico, dal centro città non lo vedi così. E anche se non sei per niente un fotografo e non hai il teleobbiettivo, dai, si vede bene (benino):

TUTTE LE IMMAGINI NELLA GALLERY SFOGLIABILE

 

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8 Commenti

  1. L’hospice e i servizi sanitari sono stati trasferiti da tempo in Napoleona.
    Li è rimasta solo una piccola comunità.

  2. Vero la pace deve rimanere tale, ma un luogo così lasciato andare dovrebbe essere curato perché è veramente bello. Magari chi ci ha vissuto, se qualcuno è rimasto, non ha ricordi di un posto bello ed è forse per questo che bisognerebbe farlo risplendere ed averne una cura speciale.

  3. Se fosse aperto liberamente ai cittadini, si potrebbe anche valutare di aggiungere quei pochi metri di strada per unire la strada del parco con Via Amuzio da Lurago, in modo tale da avere un collegamento più sicuro per biciclette e pedoni con il quartiere di Lora.

    1. Grazie per bellissimo articolo …sostengo da anni che un parco così bello in altre città ( es.Varese) sarebbe da anni valorizzato al meglio per metterlo a disposizione della comunità . Anche l attuale Sindaco promise d interessarsi ..ma poi come spesso accade tutto si dimentica !!! Povera la nostra bellissima città – amministrata da anni da ” baluba”

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