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“Antonio, l’infermiere comasco buono come il pane preso a testate in Pronto Soccorso. Scene da Gomorra”

La violenza sui sanitari sta diventando faccenda ormai maledettamente seria e pericolosa. Per descrivere di che cosa parliamo riporto il racconto di un avvenimento compiutosi sul territorio Comasco e tratto dal lavoro pubblicato con l’amico e giornalista Marco Guggiari: “Medico-Paziente. Dritto e rovescio sulla sanità” (ELPO Edizioni, 2022). E’ una storia vera, solo i nomi sono di fantasia per evidenti motivi di riservatezza. Il contributo vuole servire a tutti per ritrovare condivisione e pacificazione tra gli animi di chi soffre, da una parte e dall’altra della barricata (per lettere, racconti, segnalazioni scrivere a redazionecomozero@gmail.com).

Antonio era un solidissimo infermiere di Pronto Soccorso, in tutti i sensi, un colosso dentro e fuori. Era lì da almeno dieci anni. Buono come il pane. Aveva un passato anche da centravanti della squadra di calcio dell’ospedale, poi l’avevano fregato i salumi, i bolliti e la cazzuola. Circa cento chili di uomo. In Pronto Soccorso aveva visto di tutto, da lì passano le peggiori miserie umane, corpi sfaldati e anime malate. Ma anche solo chi ha fame, freddo e persino chi, simulando vere o presunte malattie, in realtà è solo malato di solitudine.

Quel venerdì tardo pomeriggio particolarmente affollato gli sembrava ordinaria amministrazione, anzi, la solita buriana pre-weekend. Due ore e avrebbe finito il turno, dai, mancava poco. Proprio perché conosciuto per i suoi nervi saldi, veniva mandato lui a tranquillizzare i pazienti, con parenti e accompagnatori vari, che aspettano per ore il proprio turno. Sapeva che avrebbe raccolto improperi, parolacce, lamentazioni e piagnistei. Il venerdì pomeriggio e il lunedì mattino, si sa, sono i turni peggiori, mancano i medici di base negli ambulatori e i guai sanitari si concentrano. Affollamento, gente stanca e desiderosa di andarsene via guarita o anche solo rassicurata. Sono i momenti di maggiore affollamento dei PS, e i tempi d’ attesa sono oggettivamente biblici.

Già scritte le cause: autopresentazione eccessiva, medicina del territorio che non filtra e demanda troppo, disagio sociale, riacutizzazione di tante cronicità, invecchiamento oltre misura con relativi acciacchi, servizi sanitari con liste d’attesa interminabili, ansia, ipocondria. Sta di fatto che c’erano tre codici rossi (rischio di vita o di funzione d’organo grave), due gialli, dodici verdi e cinque bianchi in carico. L’amico Alessandro, primario del PS e compagno di studi e lavoro per tanti anni, ha coniato un neologismo straordinario per i casi cosiddetti “presi in carico”, li chiama: “semi-lavorati”, che significa con formulazione diagnostica o terapeutica o di destinazione in via di avanzamento. Non vuole essere offensivo, né mirato a banalizzare paragonando il materiale umano alle catene di montaggio, ma sta a significare il lungo e complicato percorso di costruzione di un caso, nonché la sua cura, guarigione o stabilizzazione.

In situazioni analoghe a quella descritta i codici meno gravi, appunto verde e bianco, rischiano di attendere per ore, nonostante al loro interno siano compresi casi clinici con patologie degnissime, molto fastidiose e poco sopportabili se portate, e sopportate, per ore magari da soggetti anziani (mai letto le lettere di protesta sui quotidiani: “Mio padre ultra-ottantenne abbandonato in sala d’attesa del PS per ore con la sua lombalgia”?).

Insomma, quando Antonio è andato a dire in sala d’attesa che era arrivato il quarto codice rosso in ambulanza e l’attesa si sarebbe allungata, il figlio di un signore anziano si è avvicinato con tono minaccioso, reclamando l’attenzione dei sanitari per il proprio padre sofferente. Antonio ha mantenuto la calma, ha spiegato gli eventi in corso e per tutta risposta si è preso una violenta testata sul naso. Sì, proprio come nei telefilm trucidi in stile Gomorra o Suburra. Un male bestiale, un lago di sangue e un parapiglia che potete immaginare. Il dolore, la violenza del gesto, ma soprattutto lo stupore per l’aggressione. Ad Antonio, che era lì per spiegare, per aiutare, per curare. Lo sconcerto veniva dall’essere considerato un intralcio, un responsabile di disagio, dolore e disservizio, e questo nonostante anni dedicati ad alleviare il dolore altrui, con turni massacranti, per una paga poco più che modesta. Ma che cosa era successo? Gli eroi erano diventati i cattivi?

L’aggressione non è rimasta isolata purtroppo, ne abbiamo viste altre, fisiche o verbali, con minacce forti, insulti e oltraggi. E non solo nel nostro PS. Ambulanze prese a sprangate, maleducazione generalizzata, mancato rispetto di regole e abitudini consolidate. È un imbarbarimento generalizzato a tutti gli strati della società, o il mondo sanitario in particolare ha perso autorevolezza e riconoscimento? Quando è successo che siamo diventati i nemici e non più gli alleati dei malati, dei sofferenti nella lotta contro la malattia? Arriveranno le guardie negli ospedali? In molti sono già ampiamente presenti. Peccato, pensavamo che almeno il PS dell’ospedale fosse l’ultimo luogo sacro per il sostegno e la solidarietà tra le persone.

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