Se anche Barbara Minghetti “di persona personalmente” mette like al pezzo sulla sua candidatura a sindaco, il gioco si può dire fatto. O meglio, si può già andare oltre le congetture, dare per assodato il fatto e discutere formalmente della sua volontà di calcare il campo verso le elezioni 2022.
E allora non si può che partire da un assunto: che piaccia o no, che si voti il centrosinistra o no, la presenza di una personalità di spicco come Barbara Minghetti nella contesa politica per la fascia tricolore costringerà tutti – amici e avversari – a fare i conti con un innalzamento del livello del dibattito pubblico. No, non è un’elegia gratuita. Sono una constatazione e soprattutto un curriculum a dirlo.
L’anima della più importante istituzione culturale della città, capace di rilanciare il Teatro Sociale anche oltre l’immaginabile quando le acque in piazza Verdi erano decisamente più scure e agitate di adesso, oltre che figura di riferimento per il mondo culturale ben oltre i confini di Como, porta sul terreno del confronto un bagaglio di preparazione e di formazione con pochi eguali. In più, con la prova sul campo dei cinque anni passati sugli scomodi seggiolini comunali dell’opposizione sotto le insegne di Svolta Civica, non si può nemmeno parlare dell’alieno calato all’improvviso sullo scacchiere. Una dimistichezza, seppure minima, con meccanismi, strumenti, possibilità e tranelli della macchina comunale, c’è.
Como, Barbara Minghetti candidata sindaco del centrosinistra (con “premio” a una nostra lettrice)
E ancora: impossibile non considerare la questione di genere che Minghetti introduce finalmente con forza nella sfida per il nuovo sindaco (o sindaca, andrà chiesto alla diretta interessata). Una donna in politica, naturalmente, non è “meglio” in assoluto e a prescindere rispetto a un uomo. Ma in una città che ha conosciuto solo giacche e cravatte al comando, non può che far bene avere in campo – peraltro con l’evidente obiettivo di gareggiare per vincere – una sensibilità diversa, un punto di vista diverso, un bagaglio culturale e personale diversi rispetto a quelli che hanno mostrato nel bene e nel male coloro che hanno timoneggiato Como dalla tolda di Palazzo Cernezzi.
C’è da sperare che anche lo stesso linguaggio della politica, in questa corsa alle urne che ci accompagnerà fino alla prossima primavera, possa svelenirsi e de-testosteronizzarsi un po’ (chiedo venia per l’orrido neologismo, ma rendeva l’idea).
Ma quindi Minghetti è già sindaco/a in pectore? Assolutamente no. Le incognite sono tantissime. Tre su tutte: l’appoggio o meno, restando nel campo del centrosinistra, da parte delle ali sinistre della teorica coalizione, che a partire da Civitas fecero fuoco e fiamme su Maurizio Traglio cinque anni fa e che ora si trovano davanti a una candidatura che proviene da un mondo del tutto sovrapponibile (il marchio civico-civile, l’area di Officina Como, il moderatismo senza accenti radicali, nessun pedigree partitico o militante ecc); poi la forza storica del centrodestra in città, raggruppamento ora molto, forse troppo, spostato sulla destra-destra incarnata da Lega e Fratelli d’Italia, ma da sempre pressoché dominante alle urne; la variabile Rapinese, tutt’altro che secondaria, se solo si parte dal clamoroso risultato del 2017 che lo proiettò a un passo dal ballottaggio.
Inoltre, naturalmente, c’è la sfida propria dell’interessata nella capacità di trasferire l’immaginario che immediatamente il nome Minghetti suscita e solletica, dentro l’arena polverosa e ricca di inside della campagna elettorale (che non si svolge solo in piazza Verdi ma anche ad Albate, Rebbio e Civiglio). Un passaggio, questo, come si è visto con una personalità teoricamente perfetta a inizio avventura come quella di Mario Landriscina, che può riservare sorprese, amarezze e delusioni di ogni tipo.
Per concludere, comunque, un fatto è chiaro: se Minghetti correrà davvero come tutto sembra far presumere (le incognite, qui, come già detto, sono tutte legate al rischio del fuoco amico da sinistra), il Pd e i suoi alleati potranno essere accusati di tutto ma non certo di aver puntato su una candidatura difensiva, di ripiego, di secondo piano. E questa è, almeno sulla carta, una bella sfida per tutti.