Nei giorni scorsi la decisione ufficiale, dopo l’annuncio dei mesi scorsi, del sindaco di Como Alessandro Rapinese: Como, i maxi dehors dei locali dovranno essere smontati in estate: “Fine di uno scempio, poi ordine sui tavolini”. Ovviamente non sono mancate le reazioni.
In questo contesto pubblichiamo un’ampia riflessione dell’architetto comasco Sergio Beretta:
Il problema dei dehors nello spazio pubblico, non è l’occupazione, ma come questa avviene. Uno spazio pubblico è uno vivo, e quindi di qualità, quando è frequentato dalle persone, dove per frequentare non si intende il semplice passaggio, ma la possibilità di fermarsi e compiere azioni (più o meno la stessa differenza tra incrociare ogni tanto una persona – magari un semplice “Ciao” – e frequentarla – che sottende una quasi infinita gamma di attività da poter svolgere insieme), quindi la possibilità di vivere esperienze in comune nello stesso luogo.

Banalmente e concretamente, in piazza Perretta, nel 2023, passavano quasi 60000 persone al giorno durante il weekend (non credo che le misure siano oggi variate sensibilmente), ma affermare che sia uno spazio vivo, nonostante la meritoria cancellazione del parcheggio, credo sia profondamente sbagliato e non bastano certo i vari mercatini, concerti, happening che ogni tanto vi hanno luogo per mutarne la qualità.
La soluzione più semplice, ma non l’unica, per fare in modo che le persone si fermino in uno spazio pubblico, vivano esperienze in comune e quindi ne aumentino la qualità, è mettere a disposizione delle sedute, dando la possibilità di sostare. I tavolini delle attività commerciali rispondono a questo semplice bisogno e lo amplificano grazie a una sorta di bias comportamentale dell’uomo che lo porta naturalmente verso luoghi frequentati anziché deserti, il famoso detto “Persone portano persone”. (Nota a margine: sulla sproporzione tra sedute pubbliche e private si potrebbe discettare a lungo, così come sulle proporzioni tra spazio libero ed occupato e sulla tendenza sempre maggiore verso la recinzione della propria area di competenza, ma non rientra nell’argomento in questione).
I tavolini occupano lo spazio pubblico e, oltre ad arricchirlo, ne fanno condividere le esperienze.
I dehors, no. I dehors isolano dallo spazio pubblico e si manifestano come uno spazio interno solo che al di fuori dell’esercizio di riferimento. Un semplice esempio per chiarire il concetto: un toscano acceso; se è acceso nello spazio pubblico e si è seduti a un tavolino, se ne sente l’odore, se viene acceso ai tavolini, camminandoci a fianco, si sente l’odore.
Se si prova a replicare l’esperimento con il dehors al posto dei tavolini, sia nel caso che venga acceso fuori, sia dentro, l’esperienza non viene condivisa (lo stesso vale per quasi tutti gli altri sensi – a eccezione del gusto – e con la discriminante della vista, a seconda della presenza o meno di vetrofanie o ostacoli vari nelle pareti del dehors). Forse, quindi, nel caso dei dehors non si dovrebbe parlare di occupazione di spazio pubblico, ma di appropriazione, con canone, dello stesso e altrettanto probabilmente l’errore è stato concederne l’edificazione, visti gli impianti e le strutture, la prima volta e la soluzione, per poter avere uno spazio pubblico vivo, dove cioè si possano condividere esperienze, non è certo la stagionalità dei dehors, ma la loro definitiva eliminazione. Il che non vuol dire non concedere più agli eserciti di riferimento lo spazio pubblico, ma farlo in maniera diversa. Dal punto di vista economico, la soluzione potrebbe essere rappresentata dallo scalare le spese di demolizione dai canoni annui successivi dell’occupazione dello spazio pubblico propriamente detta.
 
				 
															 
															 
															 
															 
															 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
								 
					 
					