E’ tutto sbagliato nella vicenda che sta facendo il giro d’Italia sull’Abbondino d’Oro negato a don Roberto Malgesini nelle stesse ore in cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, gli conferiva alla memoria la medaglia d’oro al Merito civile. Un concorso stucchevole di errori, ingenuità, cattiverie, divisioni e cortocircuiti che purtroppo proiettano per l’ennesima volta la città, la sua immagine e le sue istituzioni in una dimensione nazionale molto poco gradevole.
Como gli nega l’Abbondino, dal presidente Mattarella medaglia d’oro al Merito civile a don Roberto
Partiamo dall’inizio, cioè dall’intervista rilasciata proprio a questa testata dal consigliere comunale di Fratelli d’Italia nonché presidente della Commissione comunale che assegna gli Abbondini d’Oro, Matteo Ferretti.
Chi scrive ne fu l’autore ed è giusto – visto il polverone scoppiato subito dopo e riacceso ieri sera – che si conoscano i meccanismi e l’origine di quella chiacchierata. Fummo noi a cercare Ferretti, il quale, semplicemente e fino ad allora senza chiedere alcuna ribalta pubblica, aveva espresso a titolo esclusivamente personale l’opinione che insignire don Roberto della massima onorificenza cittadina sarebbe stato un gesto nobile e in qualche modo esemplare.
Ingenuo, il consigliere? Prematuro e troppo facilmente accusabile di strumentalità un Abbondino a chi nel 2017 venne osteggiato da un’ordinanza anti bivacchi e con un’idea nata dalla parte che nelle stesse ore dell’intervista, benché solo via Lega, rilanciava addirittura la grata anti-senzatetto a San Francesco? Può darsi: emendare con un singolo benché nobile gesto un passato scabroso e un presente ancora orfano del tanto invocato dormitorio risultava forse un eccesso di ottimismo rispetto alle ferite ancora aperte nella coscienza politica e civile della città.
Ma senza voler in alcun modo fare gli avvocati d’ufficio di Ferretti, nelle parole che raccogliemmo da lui nel giorno della proposta – peraltro in linea con la stessa “carriera” pubblica del consigliere – non vi fu alcun desiderio di vetrina facile, nessuna ricerca di ribalta comoda sul sangue del sacerdote, né l’ambizione di sciacquare rapidamente i panni sporchi di una coalizione nell’acqua di una benemerenza.
Per conoscenza diretta dell’interlocutore e per modalità e tono di quell’intervista, possiamo garantire – al netto della fallibità di ogni interpretazione personale – l’assoluta buonafede del consigliere. Ed è giusto che si sappia.
Il punto è che, anche concedendo al lettore o al politico di parte avversa di non conoscere questi dettagli e i retroscena di un’intervista, e pur comprendendo l’alea di “sospetto” sullo schieramento di provenienza di quelle parole, non possiamo nascondere che Ferretti venne letteralmente bastonato a parole, accusato a prescindere di qualsiasi malafede possibile, di ogni peggior intenzione immaginabile.
Un trattamento aprioristico e a tratti squadristico, una condanna senza alcuna possibilità d’appello sia della persona, sia delle intenzioni. Con un sottofondo, diciamolo: la sensazione che non essere sempre, in assoluto, dalla “parte giusta”, per alcuni comporti un’idegnità morale di nascita, personale, indelebile. Basta andare a cercare l’articolo e i commenti relativi sulla nostra pagina facebook per confontare.
La polemica svanì rapidamente, salvo riesplodere ieri sera dopo la notizia del riconoscimento voluto e firmato da Mattarella.
Un atto che, paradossalmente, ha ribaltato il dibattito pubblico di un paio di settimane fa, facendo balzare all’occhio lo iato tra l’assenza di un qualsiasi riconoscimento della città in cui don Roberto seminava il bene a costo della vita, e l’abbraccio ideale venuto invece da Roma, dal presidente della Repubblica, a nome di (quasi) tutti gli italiani. E, naturalmente, quel gesto, per il meccanismo di azione e reazione, ha in parte cambiato anche la luce che fino a quel momento aveva illuminato la proposta di Ferretti: da idea abominevole di un “impresentabile a qualunque costo”, a occasione mancata e figuraccia della città.
Ma al di là del trattamento riservato a caldo a Ferretti, perché l’Abbondino non è arrivato per don Roberto? Non certo per i commenti sulla pagina facebook di ComoZero, bensì perché la Commissione comunale Abbondini, sulla questione, non ha raggiunto l’unanimità. Il che, persino al di là dell’esito, stuzzica un pensiero aberrante: ossia che i rappresentanti dei comaschi a Palazzo Cernezzi si siano spaccati e divisi – forse anche per logiche di interesse politico-partitiche – sul riconoscimento a un suo martire della carità. Terribile anche solo pensarlo, che don Roberto sia stato anche per la miseria di dieci secondi oggetto di scontro e divisione come una Ticosa qualsiasi.
Risultato finale di questi giorni tremendi: una città che prima fatica a capire, e persino osteggia sul campo l’umanità di un suo sacerdote, poi ne piange coralmente il tragico assassinio, infine condanna a prescindere chi ne chiede un riconoscimento istituzionale, quindi su quello si spacca e si divide, infine arrossisce, messa davanti alle sue piccolezze dal Presidente della Repubblica.
Al di là di torti e ragioni, di ingenuità e contraddizioni, l’ennesima prova che forse chi parla di una Como ormai troppo ostaggio di rancori e di veleni non ha davvero tutti i torti. Ed è questo – certamente più dell’Abbondino mancato, probabilmente oltre la carezza di Mattarella – che avrebbe oscurato per un attimo il cielo stellato dentro don Roberto.
Como capitale del rancore. Una città divisa e incattivita? Secondo Lissi e il sindaco, sì