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Como, il medico con 76 whatsapp dei pazienti. Guidotti: “Carenza di sanitari drammatica eppure vengono insultati”

Correva il 1993, durante una Santa Messa in centro a Como un anziano si sente male e si accascia. Il sacerdote chiede se tra i presenti c’è un medico. Ci presentiamo in dodici eredi di Ippocrate, cardiologo, neurologo, rianimatore, dentista e altri; sembrava un policlinico. Stesso episodio, 30 anni dopo, ci sono solo io. Certo, è anche vero che le Messe sono meno frequentate, ma certi aneddoti spiegano meglio di tante narrazioni i fenomeni sociali: non ci sono più (abbastanza) medici. In alcuni settori la carenza è drammatica e le strutture sanitarie si arrabattano come possono. A Como c’è poi la concorrenza svizzera che acuisce il problema. Da tempo il Sant’Anna manda a svolgere turni in Pronto Soccorso anche medici con altre specialità, che definiremo “di elezione” più che di urgenza. Per lo stesso settore il Valduce accetta anche medici “a gettone”, cioè liberi professionisti esterni non appartenenti allo staff dell’organico ospedaliero, pur di saturare i turni, perché non si può fare diversamente al fine di avere una copertura h24. Cosa vuol dire in pratica? Nel primo caso un medico che si è sempre occupato di altre malattie deve di colpo gestire patologie a carico di organi a lui non abituali, per di più in urgenza-emergenza.

Certo, può comunque chiamare lo specialista competente del settore, ma in seconda battuta e sempre che sia libero. Nell’altro caso, lavorare “a gettone” vuol dire non condividere, se non all’ultimo momento, i percorsi diagnostico-terapeutici di una struttura sanitaria, perché magari la sera prima lo stesso medico, in un diverso ospedale, ne applicava altri. Certo, ci sono linee guida nazionali e mondiali e le stesse malattie, almeno nei Paesi con sistema sanitario avanzato, si curano nello stesso modo. Ma un conto è, per esempio, lavorare con il radiologo presente in struttura, un altro con lo stesso reperibile che arriva da casa se chiamato, o che legge le immagini “da remoto”. È un problema? Certo che lo è. E per fortuna che le strutture comasche hanno finora trovato delle soluzioni, perché in altri territori i Pronto Soccorso hanno chiuso. 113 in Italia tra il 2010 e il 2020.

E non è solo un problema legato ai settori dell’Emergenza-Urgenza. Diversi organici ospedalieri da tempo lavorano incompleti, che significa avere medici stanchi, stressati, in burn-out, perché non riescono a riposarsi il giusto e a liberarsi del peso delle miserie e dei drammi di cui si caricano ogni giorno a contatto con la morte, la malattia e le invalidità. Introvabili i ginecologi, cardiologi con il contagocce, rianimatori estinti. E non stanno meglio i medici di base, cioè quelli di famiglia. Ai concorsi recentemente aperti in Lombardia per ricoprirne i posti, se ne sono presentati un terzo di quelli necessari. E allora, come si fa?

Si fa che i pochi in attività si sobbarcano più assistiti di quanto dovrebbe essere la giusta misura. Poco male, molti sono giovani, lavoreranno di più, guadagneranno meglio. Sicuri? Sentite questa. Mesi fa, un lunedì mattina, incontro una giovane collega di base che opera in centro Como. Mi dice: “Vuoi vedere quanti messaggi WhatsApp di malati ho sul telefonino da stamattina? 76!”. Ma come si può? Mettiamo pure che non si tratti di tutti casi gravi, ma sono sacrosante richieste d’aiuto per un problema di salute. E come si fanno a gestire, a farsene carico pienamente? 76? E poi ci sono anche i pazienti presentati in studio, e poi quelli programmati, e i certificati, e le richieste di invalidità, di malattia, di ausili, cioè la burocrazia non strettamente legata a guai sanitari incalzanti, ma pur sempre da svolgere. Ma come siamo arrivati a questo punto drammatico? Perché cioè non abbiamo più abbastanza medici (e infermieri per la verità, ma non abbiamo tempo e spazio per aprire anche questo capitolo, altrettanto grave). Sono numerose le cause, note e stranote: programmazione universitaria a numero chiuso inadeguata, pianificazione post-universitaria anche peggiore, relativa cioè ai posti nelle scuole di specializzazione. Ma anche ruolo sociale meno attrattivo, guadagni scarsi, corsi di studi lunghissimi, qualità della vita pessima.

C’è qualcosa che possiamo fare? Certo. Le istituzioni e noi. Le prime, nel lungo termine, creare le condizioni ambientali e contrattuali per formare più medici. Nell’immediato, razionalizzare le risorse prima di arrivare e razionarle. Come? Distribuendo correttamente gli specialisti nei vari presìdi sanitari. I medici non vogliono spostarsi da un ospedale all’altro? Pianteranno grane sindacali? Troveremo delle soluzioni. Il benessere pubblico viene prima di tutto.

Ancora, possiamo importare ottimi medici dal resto del pianeta. Il Regno Unito lo fa da mezzo secolo. E noi tutti cittadini possiamo fare qualcosa? Certo che sì: accettare e accogliere operatori provenienti da altri Paesi, e trattare bene chiunque si prenda cura della nostra salute. Viste le botte, gli insulti e le molestie che i sanitari subiscono ogni giorno non è cosa scontata.

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2 Commenti

  1. Ha perfettamente ragione, ma le proteste su questo tema trovano spesso poco spazio o poco seguito (anche e soprattutto mediatico). Ieri a (24/6) CGIL e molte associazioni erano in piazza proprio per portare all’attenzione di tutti e di chi governa queste situazioni ed i problemi della nostra sanità. Purtroppo non è stata notizia da prima pagina
    Il sistema sanitario è regionale. I problemi della sanità lombarda sono evidenti…o forse no visto che da 30 anni ci facciamo governare convintamente, visti i numeri, dalle medesime persone.
    Ha ragione Lucia, ma le ultime grosse proteste sul tema che ricordo sul tema dei medici sono quelle di quei cittadini che qui vicino non volevano un medico di base di colore.

  2. Un’amica mi ha chiesto di tradurle un referto radiografico del figlio che aveva avuto un piccolo incidente in Gran Bretagna.
    Dal nome si capiva che il radiologo era indiano e l’infermiera polacca.
    L’assistenza sanitaria si può migliorare importando specialisti ma bisogna che i politici caccino i soldi per attirarli e pagarli adeguatamente. Ed i cittadini protestino perchè la salute è un diritto in un paese civile.

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