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Il barone Russo a Licata il rosso: “Mentre ridi, ricorda di elaborare il lutto”

Licata telegrafa, Russo risponde. Parte, come ormai consuetudine Social Pop, da Facebook un durissimo scambio di vedute su quel che resta della sinistra. Prima il post del segretario generale della Cgil, Giacomo Licata. Poi, a commento, la replica del coordinatore provinciale di Articolo 1 Movimento Democratico Progressista, Emilio Russo, cui abbiamo chiesto di estendere il ragionamento oltre il confine della diatriba col sindacalista. In mezzo anche l’intervista di qualche giorno fa:

Licata e la politica perduta: “Traglio, milionario sconosciuto. Landriscina, solo debolezza”

Come sempre per repliche, controriflessioni e contributi: redazionecomozero@gmail.com

Quasi invidio Giacomo Licata che riesce a trovare l’occasione per “una sonora risata”. Invece di tentare di elaborare il lutto per i destini del partito di cui è – oltre che della Camera del Lavoro di Como – un dirigente, vedo che purtroppo continua a compiacersi di scaricare le responsabilità del tracollo elettorale del Pd su “quel mondo vecchio, minoritario e autoreferenziale che vaneggia di rappresentare la sinistra”. E chi altri, di grazia, la rappresenterebbe? Fossi Giacomo Licata, mi domanderei anzitutto come sia potuto accadere che un partito che ha governato per l’intera legislatura e che esprimeva una pletora di amministratori locali e di dirigenti sindacali è passato in dieci anni da 12 a 6 milioni di voti. Più del milione e 200 mila voti di Liberi e Uguali, certamente, ma con un esito elettorale – aggravato dall’incredibile legge elettorale su cui il governo ha posto otto volte la questione di fiducia – e dagli attuali comportamenti, che rischiano di condannarlo ugualmente all’irrilevanza.

Giacomo Licata

Il che rappresenta un problema per tutti, e conferma la percezione, che il voto ha certificato, di un pesante spostamento a destra dell’opinione pubblica nazionale. Non dice niente a Giacomo che il 21 percento dei voti dell’intera area del vecchio centrosinistra sia di quattro punti al di sotto del già modesto 25 percento del Pd di Bersani di cinque anni fa? Che questa fosse la tendenza era chiaro da tempo e la scelta di alcuni di abbandonare un partito tenacemente attratto dalla sconfitta e incline all’autoesaltazione (per dirla con Giorgio Napolitano) nasceva principalmente da questo. Personalmente lo feci più di tre anni fa; altri, purtroppo, solo in tempi più recenti e troppo vicini alla scadenza elettorale.

Quel “quel mondo vecchio, minoritario e autoreferenziale che vaneggia di rappresentare la sinistra” che ha compiuto quella scelta aveva però un’ambizione tutt’altro che banale. Sono andato a rileggere il Manifesto di Articolo 1 – MDP in cui si esprimeva chiaramente una vocazione di governo e si parlava di “costruire e radicare in tutte le comunità un campo di esperienze democratiche e progressiste legate alle culture socialiste, liberali, cattoliche democratiche e ambientaliste, al mondo civico dell’associazionismo e del volontariato”.

Non ci siamo riusciti, è ovvio, anche perché il progetto e l’immagine di Liberi e Uguali si sono allontanati irrimediabilmente da queste ambizioni e hanno finito per parlare il linguaggio di una vecchia sinistra in cui si sommavano i tic elitari, le debolezze teoriche, gli opportunismi del ceto politico – nessuno escluso – che ha fatto vivere, in una forma insopportabilmente assemblearistica e centralistica, l’esperienza di LeU, vanificando gli sforzi generosi di tante e tanti militanti.

Ma il problema che avevamo colto (quello di una diversa politica in grado di invertire lo spostamento a destra in atto) e il tema che abbiamo posto (quello di un campo politico rinnovato e competitivo “a sinistra”) rimangono, e richiederebbero atteggiamenti più umili e analisi meno superficiali di quelli di un post su Facebook. Fossi Licata, ad esempio, partirei dalla presa d’atto del fatto che il cambiamento intervenuto nel Pd ha probabilmente un carattere strutturale e va al di là del ruolo di Renzi, che continua comunque a essere decisivo.

Riguarda sia la scelta dei referenti sociali (non dice niente a un dirigente sindacale la composizione del voto al Pd e il fatto che sia stato abbandonato dalla gran parte dei lavoratori dipendenti?) sia il posizionamento politico, con la continua rincorsa del centro e la ricerca della propria legittimazione nei “poteri forti” espressione dell’establishment (ben oltre “lo “sconosciuto milionario” Traglio).

Temo proprio che, a questo punto, una revisione profonda dell’indirizzo politico del Pd comporterebbe probabilmente una rottura, con una parte tentata dall’avventura “macronista” e un’altra che potrebbe trovare le ragioni di un rilancio solo attraverso il dialogo con una moderna forza di orientamento socialista, oggi assente ma che ci sentiamo impegnati a costruire. Il tema sul tappeto mi sembra questo. Dica – se crede – Licata, quale sarà il suo posto nella nuova geografia politica che si annuncia. Rivangare in modo rancoroso vecchie fratture e ignorare la realtà dei nuovi scenari è un atteggiamento reducista che non porta da nessuna parte.

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