Tocca le corde della nostalgia ma nello stesso tempo fotografa bene il grandissimo cambiamento del centro di Como negli anni, il racconto che la nostra lettrice Sara Toffanin ha inviato alla redazione. Un testo molto personale, che tra ricordi e attualità strettissima, quasi dipinge per flash la rivoluzione della città murata e di come i ricordi di quando era bambina conducano fino alla Como turistica di oggi, radicalmente diversa. Un luogo che un tempo era quasi una grande famiglia allargata, dove il sapore quasi di casa era percepibile tra figure e atmosfere inconfondibili e ormai lontane, e dove oggi ci si può sentire anche semplicemente turisti qualsiasi tra gadget omaggio e l’incessante viavai di persone da ogni parte del mondo.
Di seguito, lo scritto integrale per scriverci e inviare segnalazioni con foto e video ci sono la mail redazionecomozero@gmail.com, il numero whatsapp 335.8366795 e la pagina facebook).
Non sono nata a Como, ma mi hanno portata qui quando avevo quattro anni.
Sono cresciuta in una via del centro all’ombra della torre, una grande torre, Porta Torre, in via Cesare Cantù.
Era un piccolo paese quella via; c’era Giuseppe il fruttivendolo, il Brambilla che vendeva il vino, il Pietrino tabaccaio.
Andavo a comprare le Marlboro rosse per il papà, ero così alta che non arrivavo neanche al bancone e dai soldi delle sigarette avanzavano sempre 10 lire per il ghiacciolo all’anice, azzurro come solo i coloranti sanno colorare.
C’era la lattaia in via Giovio, compravo il latte e le Golia.
La nostra parrocchia era San Domnino, la mamma ci teneva al fatto che frequentassi la “chiesa”, ma, a me, quel posto non è mai piaciuto.
Non mi piaceva niente a parte Don Sandro, lui era una persona educata e gentile, veniva da un’altra storia, pareva messo lì a caso.
La via mica era asfaltata come adesso, c’era ancora la “mulattiera”; si chiama mulattiera quella con le due corsie e i sassi ai lati? In bicicletta era tutto un traballamento.
E poi potrei raccontare delle sorelle Cappi, quelle che mi hanno insegnato a ricamare e dei loro cani: Tom e Tonino.
O della signora Scotti e dei suoi bottoni in quel negozio magico.
Del Mazzoleni che vendeva pentole e, vai capire il perché, anche giocattoli.
Il centro della città era il mio mondo, tutti conoscevano tutti, noi bambini e poi ragazzini eravamo sempre “curati”, insomma un “ho visto la Sara in piazza San Fedele” alla mia mamma non lo negava nessuno.
E siamo cresciuti e c’era la Birreria 35.
Oh non so se rendo, ma lì ho visto Lucio Dalla che era amico del Giorgio, il marito della Marianne.
Insomma, per farla breve, sabato 16 novembre 2024, camminavo per il centro, ho pranzato in un posto carino nel Piazzolo Giuseppe Terragni, mi hanno regalato una calamita del lago di Como come a una turista qualsiasi.
In via Rovelli ho contato 11 cassette delle chiavi “case vacanza” però avevo appena bevuto il caffè al Bar Diaz dal Maurizio e dalla Giovanna, sempre loro, sempre casa.
Poi sono andata alla mostra “Il mio Purgatorio” (bellissima, bravi ragazzi) in via Odescalchi e mi hanno chiesto se fossi di Como.
Io non sono nata a Como, mi hanno portata qui quando avevo quattro anni e oggi ero una turista qualsiasi nella mia Como, nelle vie dove da bambina giravo in bicicletta traballando sui sassi.