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“La mia Como segreta e immutata nel tempo, sconosciuta ai turisti, che la domenica profuma di caldarroste”

Migliaia di persone hanno letto la lettera di Sara Toffanin in cui viene raccontato il passaggio tra la Como di quando era bambina in quella che – pur conservando alcuni caratteri essenziali  – si è trasformata nella città turistica piena di visitatori di tutto il mondo, tutto l’anno. Tanto che la stessa autrice – cresciuta tra vie, piazze e volti del centro storico – ammette di essersi sentita in qualche occasione come turista qualsiasi nella sua città.

Su quella stessa linea, riceviamo e volentieri pubblichiamo un’altra lettera, quella di Marina Fasola che racconta una Como antica, fuori dalle rotte più celebri e celebrate, che non solo c’era ma resterà nel tempo. Di seguito, il testo integrale (per scriverci e inviare segnalazioni con foto e video ci sono la mail redazionecomozero@gmail.com, il numero whatsapp 335.8366795 e la pagina facebook).

Casa mia ha più di duecento anni, fu di mio nonno, poi di mio padre, ora mia. Ha i muri in sasso, le scale in pietra di Moltrasio, i soffitti in legno di castagno e molte canne fumarie, anche se oggi sono perlopiù in disuso.

Se questi muri potessero parlare vi racconterebbero di una Como che c’era, che c’è e che ci sarà ancora domani, immutata nel tempo.

È la Como dei comaschi che abitano in periferia, che hanno case di un tempo dove l’attività era perlopiù agricola. Case con i gelsi in giardino, che ora danno solo more, ma che un tempo fornivano nutrimento ai banchi da seta.

Questa Como è sconosciuta ai turisti ma anche alla politica locale: qui si montano i banchetti in campagna elettorale e poi per cinque anni non si fa più veder nessuno.

Forse è per questo che si ritrovano i sapori e i legami di un tempo, immutati. In periferia ci sono ancora ristoranti di cucina tradizionale a prezzi normali, si sente il profumo di legna di camini, in autunno, c’è chi ancora vendemmia, raccogliendo l’uva dalle viti che abbelliscono le corti, mentre in primavera il glicine, dopo la fioritura, rinfresca ombreggiando le case di ringhiera.

Abbiamo ancora i piccoli negozi in periferia, sapete? Il panettiere che conosce tutti e porta a casa la spesa e a volte fa anche un salto in farmacia per aiutare la nonnina di turno. C’è la fiorista, che conosce per prima tutti neonati e, purtroppo, saluta anche chi vola via. C’è l’associazione degli anziani, punto di ritrovo e socializzazione, come lo è il bar e la parrocchia, con il campo sportivo.

In una mezz’oretta, attraverso le scalette della Valfresca, si scende in centro, si passeggia sul lungolago possibilmente quando ci sono pochi turisti, perché a noi piace assaporare dall’alto la bellezza del nostro lago, nei nostri belvedere noti e meno noti, godendo del silenzio della Spina Verde.

La domenica, per la mia via c’è un profumo di caldarroste, come quando ero bambina: le generazioni si susseguono ma il piacere della vita tranquilla si tramanda e il tempo si ferma.

Benvenuti nella mia Como, per nulla turistica, più viva, più vera.

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