Quando arriviamo al Circolo PD di Cantù, l’aria all’interno è calda, bollente. L’atmosfera è carica di discussioni. Il Presidente della Repubblica ha appena parlato, concedendo alcuni giorni alle parti politiche per mettersi d’accordo su una maggioranza.
La sezione comasca del PD ha indetto una riunione per parlare dei possibili sviluppi futuri. Per adesso il voto è scongiurato ed è tutta una questione di cucire o ricucire alleanze e strappi, di allargare il fronte.
Uno degli scenari è un’intesa tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle: un Governo giallorosso. L’idea di scendere a patti con una delle proprie nemesi politiche basta ad accendere gli animi per tutta la sera.
“La riforma del parlamento l’avevamo già fatta a quest’ora” esclama un militante sulle scale che portano alla sala congressi del circolo.
Si sottintende un “se non fosse successo quello che è successo nel dicembre 2016” con il voto al referendum costituzionale che ha sancito la fine del Governo Renzi e ha aperto una spaccatura all’interno del partito.
Una spaccatura allargata dalle correnti interne delle primarie che nemmeno la figura del nuovo segretario, Nicola Zingaretti – visto il ruolo di Matteo Renzi nelle ultime settimane di dibattito politico – sembra aver sanato completamente.
Tra militanti accaldati, ventagli svolazzanti e vecchi manifesti di feste dell’Unità passate, la spaccatura si riflette nel modo in cui le persone parlano di se stesse premettendo gli aggettivi “Renziano”, “Zingarettiano”, “Martiniano” ai propri commenti.
Ma nonostante le diverse correnti, l’aria è elettrica. Il Partito Democratico si potrebbe affacciare nuovamente sulla soglia della maggioranza, dopo il 18% del marzo 2018, dopo un anno e mezzo tra i banchi dell’opposizione, nel caso di un’intesa con i Pentastellati.
C’è entusiasmo, l’entusiasmo dell’ignoto e delle seconde chance.
Alle 21.15, si chiede silenzio e la platea si zittisce, abbandonando le discussioni che animano grandi gesti delle mani. I ritmi convulsi della crisi di Governo hanno lasciato tempi troppo stretti agli organizzatori. Non ci sono microfoni.
Chiara Braga, deputata Dem, entra seguita da un applauso generale. Fa rapporto da Roma, dove il gruppo dirigente ha cominciato a trattare intensamente con i possibili alleati, secondo i cinque “paletti” posti da Zingaretti per le negoziazioni.
Braga chiede unità dietro alla segreteria, di costruire una “corazza” per proteggere “la nostra comunità”.
Federico Broggi, segretario provinciale, invoca la costruzione attiva di un offerta politica nuova. Cita Sergio Marchionne, ex amministratore delegato del gruppo FCA, e la sua lettera mandata nel 2018 ai nuovi dipendenti in cui descrive un mondo in cui “le persone non aspettano che le cose accadano. Le fanno accadere”.
Ci chiediamo se l’ironia del citare la quintessenza del capitalismo italiano in un appello per l’unità di una forza politica di sinistra sia sfuggita a tutti.
Segue l’intervento di Angelo Orsenigo, consigliere regionale che insiste sull’atto di responsabilità del formare una coalizione per rimediare ai danni dell’amministrazione appena caduta.
Poi cominciano gli interventi dei militanti, appassionati. I più accalorati sono i meno giovani. Ragazzi tra i venti e i trenta siedono nelle ultime file in fondo, timidi, forse.
Un primo intervento, tenuto da un signore che ammette di essere “per Renzi e per Martina” invoca migliore comunicazione, una nuova politica sull’immigrazione e il rispetto per la segreteria.
Maria Rita Livio, ex sindaco di Olgiate Comasco e membro dell’Assemblea Nazionale del partito, parla dei conati di vomito che sono venuti a tutti all’idea di allearsi con il Movimento 5 Stelle. “I conati risalgono anche pensando allo streaming in cui i 5 Stelle hanno maltrattato Bersani”.
“Ce lo ricordiamo tutti!” esclama qualcuno dalla platea. Le umiliazioni, così come le sconfitte elettorali, rimangono vive nella memoria.
Per Rita è poi essenziale che nella nuova squadra di Governo ci sia il meglio del Pd per invertire la deriva cinica del Paese. “Siamo diventati gente molto cattiva. Ci è stato insegnato da qualcuno che è un baluba” conclude, non trovando parole migliori per descrivere Matteo Salvini.
Per Paolo (Furgoni, ex sindaco ci Cernobbio) bisogna fare politica in modo nuovo per prepararsi alle prossime elezioni: “Ci manca solo che facciamo un Governo di sei mesi, andiamo alle elezioni e prendiamo mazzate consegnando il Paese a Salvini”.
E su Zingaretti il giudizio è tiepido: “Le guerre le fai con i soldati che hai non con quelle che vorresti. Ha portato sintesi”.
Per altri, come Alessandra che prende la parola, il Segretario è “un tessitore. Forse non il leader carismatico” ma l’esperienza di Governo va fatta.
Quello che per tutta la sera verrà poi chiamato “il compagno di Mariano” e che si presenta come “il Redaelli del Circolo di Mariano”(Giuseppe Redaelli, ex consigliere comunale) ammette che, invece, i conati di vomito non gli sono passati: “Se ci fosse stata un equivalente della piattaforma Rousseau, una “Piattaforma Engels”, avrei votato no all’intesa con i 5 Stelle”.
Per Giovanni Spataro, militante, invece, una tempo della partita si gioca sulla legalizzazione della Cannabis: “Spero si vada a elezioni e che si abbia, nel 2019, il coraggio di fare una legge seria che regolamenti l’uso della pianta”.
Gli interventi vanno avanti fino a sera inoltrata. Sedici persone prendono la parola.
Alcuni, per loro stessa ammissione, avrebbero voluto stappare una bottiglia di spumante per festeggiare il fatto che Salvini non sia più Ministro dell’Interno.
Si confida nella capacità del gruppo dirigente di trattare un accordo con i 5 Stelle. E se non funziona: “Avremo fatto la figura del partito responsabile” qualcuno dice a chiosa del proprio intervento.
Per altri, le elezioni sono l’unica cosa sensata e fidarsi di “dilettanti allo sbaraglio” è impossibile.
La marea di opinioni e commenti si arresta a mezzanotte, quando Chiara Braga ricorda alla platea dai mille punti di vista un concetto fondamentale.
Utilizzando le parole di Paolo Gentiloni, “il Freddo”, leale ministro di Renzi e poi Presidente fino al Marzo 2018, la deputata ricorda:”Quando il gioco si fa duro i duri smettono di litigare”.
Mentre, nella notte sudata di Cantù, il circolo si svuota e le sedie in platea vengono riordinate, queste ultime parole sembrano l’unica strategia sensata.
Se gli interventi e i punti di vista espressi questa sera sono, anche lontanamente, uno spaccato delle mille anime e delle dinamiche interne al Partito, smettere di litigare potrebbe però essere più facile a dirsi che a farsi.