Non si occuperà di strade e tombini, naturalmente. E difficilmente – quando si potrà – sarà l’attivista da seratona di sezione sulla Corazzata Potëmkin con dibattito a seguire. Ma certo, benché senza meriti specifici se non geografici e anagrafici, il tesseramento di una figura quale Giuseppe Guzzetti, per il Pd locale, va ben oltre il puro significato pratico.
Entrano in gioco, anche solo come riferimento indiretto e ideale, elementi come il peso storico e politico dell’ex presidente di Fondazione Cariplo, il prestigio personale, un legame territoriale comunque forte e concreto con il capoluogo e la provincia, pur senza negare che si tratti dei riflessi di una scelta che ha il livello nazionale come origine, proscenio e luogo naturale.
Peraltro, che Guzzetti non abbia mai dimenticato il territorio in cui è nato e da cui è iniziata la sua straordinaria parabola nel mondo istituzionale ed economico nazionale lo dimostrano fatti recenti (i 5 milioni destinati al recupero di Villa Olmo tramite Fondazione Cariplo, per citarne uno emblematico) e recentissimi (la rivendicazione di aver chiesto l’iscrizione al Pd di Como al consigliere regionale lariano ed ex sindaco di Figino Serenza, Angelo Orsenigo).
Certo, non sarà il nome di Guzzetti a riempire le urne dem di voti e preferenze tra un anno, quando si voterà per il nuovo sindaco del capoluogo. E sarebbe un errore tragicomico per il Pd pensare di avere messo il turbo da un giorno all’altro con l’ingresso di un simile nome (almeno figurativamente) tra le sue fila, nel consenso popolare o nella penetrazione politica tra gli elettori.
Quei fattori sono ancora indissolubilmente legati all’azione sul territorio di iscritti, miltanti ed eletti, con il filo doppio che lega questo mondo comasco alla galassia e agli eventi romani, al destino del governo Draghi che i dem sostengono, all’efficacia o meno della segreteria di Enrico Letta, all’evoluzione e gestione dell’emergenza sanitaria. Questi gli elementi decisivi per lustrare o appannare definitivamente il logo del Pd anche in provincia di Como.
E però, un effetto, non solo sul partito di riferimento, il ritorno simbolico di un nome come Guzzetti sul terreno politico potrebbe averlo. Sarebbe auspicabile, anzi, che lo avesse a 360 gradi. Come? Innalzando il livello di un dibattito pubblico mai così povero, mai così assente, mai così ridotto a meme sguaiato o a foto da tinello pro-social.
Complice anche la pandemia che ha ristretto spazi e tempi del confronto extra Facebook, chi scrive raramente ricorda una così roboante assenza di tensione ideale e programmatica sul destino ad ampio respiro di Como città e, in generale (qui forse anche per l’annichilimento del ruolo politico delle Province), del territorio.
Parlare di futuro è comprensibilmente difficile, in questo momento storico segnato dal virus. E i politici, in parte incolpevolmente, non fanno eccezione. Figuriamoci le associazioni di categoria, ormai rintanate nelle loro sedi e nei loro problemi di settore e ormai completamente sganciate dal dibattito pubblico generale (qualcuno ha notizia di industriali, architetti, ingegneri sui temi che scottano? Che abisso anche solo con il primo decennio dei 2000).
Però ecco, un nome come Guzzetti – anche solo per l’enorme portato personale – potrebbe forse avere la funzione di dare uno stimolo, di pungolare partiti, associazioni, singoli attori per tentare di aprire fascicoli e pensieri che vadano oltre le strisce pedonali, che provino a tratteggiare e immaginare la città di domani di cui nessuno parla più.
Servirebbe eccome uno slancio generale – a tutti, non soltanto al Pd – in un territorio che di leader negli ultimi lustri, ne ha espressi davvero pochi.
Il mondo è stato ed è tutt’ora stravolto da un anno terribile. Solo Como parla ancora di completare tangenziali miliardarie pensate 40 anni fa o si incaglia sterilmente sul relitto di una piscina, come nulla fosse accaduto.
4 Commenti
Egregio amico di Gioele, ce ne fossero anche altri, nel desolante deserto piddino di questo sventurato capoluogo, di personalità della levatura di Guzzetti. E il fatto che non abbia neppure imbarazzo nel chiederne la tessera ne è una ulteriore prova.
A quanto pare avevano torto quelli del Manifesto quando scrissero, ormai quasi quarant’anni fa: “Non moriremo democristiani”.
Il destino mi pare proprio quello: siamo qui a sperare che un democristiano di 87 (ottantasette!!!) anni ci venga a salvare dal Landriscina & Co…
Emanuele Caso ha perfettamente ragione. Non si sa quanto entrerà nel dibattito politico del nostro territorio un personaggio di tale statura, tuttavia sarà sicuramente un pungolo per elevare il livello delle argomentazioni da “bar sport” a un confronto di “politica vera” di cui si sente il bisogno per uscire dall’immobilismo che si sta vivendo. A Como manca soprattutto questo.
Cioè, caro Gioele, mi stai dicendo che a Como, per sperare di fare meglio, manca un democristiano (di quelli veri, eh…) di 87 anni. Andiamo bene !!!