A conti fatti, il giudizio sul primo anno più o meno tondo della giunta Landriscina – a poche ore dalla pausa agostana – è perfettamente ambivalente. Si può dividere in due piani divergenti: l’amministrazione dura e pura, sebbene più o meno complessa; e poi l’aspetto politico, quello di orizzonte, che guarda alla prospettiva su una dimensione più ampia del posto auto.
Per quanto riguarda il primo aspetto, molti – forse la maggior parte – avranno negli occhi e nei pensieri i punti (o i titoli) negativi. E’ assolutamente normale.
Se possibile, per spiegarne il motivo, ricorro a un piccolo aneddoto personale: per largo tempo (e in certi ambienti sicuramente tuttora), chi scrive è passato per una sorta di “nemico giurato” della giunta Lucini, senza grandi sfumature. Logico: la memoria si focalizza e sedimenta molto più sui metaforici puntini da 1 a 31 (cioè le singole critiche su Ztl, piazza Roma, questione diga-monumento, lungolago, Ticosa, vicende alla via Rubini, punto unico cottura flop) che non sulla figura intera che appare a matita deposta (i noiosissimi editoriali come questo, nei quali invece – ripetutamente – si è sottolineata l’impronta essenzialmente innovativa e per larghi tratti positiva, ma soprattutto frutto di un “master plan” di pensiero, che lo scorso esecutivo ha impresso sulla città, nel centro specialmente).
Ma andiamo celermente oltre.
Restando sul fronte dei puntini da 1 a 31, i primi dodici mesi della giunta Landriscina non virano né verso il bicchiere mezzo vuoto, né verso quello mezzo pieno. Si fermano al mezzo bicchiere neutro (ma pensate quanto è mutevole la politica nel solo volgere di 50 giorni: l’immobilismo pericolosissimo che si sottolineava con questo articolo, già è diventato altra cosa).
Soprattutto nel volgere delle ultimissime settimane – sebbene sbuffando, perdendo pezzetti, in maniera talvolta scollata e scollacciata – sindaco, giunta e maggioranza hanno collezionato passaggi tutt’altro che negativi.
Al netto della notte-disastro sulla delibera appalti, la riappropriazione dell’area Ticosa, l’ok all’esternalizzazione dei pasti scolastici, l’incanalamento nel verso voluto della questione Como Acqua, il procedere apparentemente senza intoppi dell’iter per rifare i giardini a lago, la riapertura completa di Villa Olmo con il suo Orto botanico (con un grande grazie dovuto ai predecessori), sono i primi biglietti da visita di un mandato che ancora a maggio pareva certamente squilibrato verso la tinta nera.
A controbilanciare in negativo:
– alcuni evidenti passi falsi (il già citato disastroso tentativo di affidare gli appalti alla coabitazione con la Provincia, la pasticciata gestione in corso della questione viale Varese, il garbuglio sulla Como turistica tra fatti specifici – vedi piazza De Gasperi, sebbene ereditata – e l’assenza totale dalla partita eventi/cultura con la ciliegina bacata della telenovela infopoint);
– alcune promesse finora del tutto disattese (il rilancio di piazza Roma, l’accensione delle telecamere per contrastare gli ingorghi abusivi in centro, il nulla sul fronte pur tanto sbandierato del contrasto all’accattonaggio molesto così come la silenziosa resa di fronte al caso dei senzatetto a San Francesco);
– qualche speranza di prospettiva più o meno solida (più, il lungolago grazie alla Regione; meno, il Politeama per ora ancorato a una fumosa conferenza stampa).
Ma se si vuole guardare con sincera schiettezza a questo quadro sommario, è impossibile non tener conto del fatto che di anni – salvo catastrofi lungo la via – ne mancano ancora 4, cioè l’80% del tempo messo a disposizione di Mario Landriscina dagli elettori comaschi.
Dunque, il giudizio sul capitolo amministrativo – pensate soltanto a cosa vorrebbe dire riconsegnare 3-400 posti auto in Ticosa l’anno prossimo, o tagliare il nastro del lungolago nel 2022 – va preso per quello che è: una fotografia un po’ seppiata e non ben decifrabile dell’oggi, le cui sfumature restano potenzialmente mutevolissime.
E infatti, se per ogni singola delibera o asfaltatura non si potrà far altro che giudicare di volta in volta, tracciando saltuariamente bilanci parziali come questo, il vero scatto che invece è atteso è un altro. E’, come si diceva in avvio, quello della prospettiva.
Ciò che davvero è mancato finora alla compagine che nel complesso guida la città è una visione politica del futuro. Si sfida chiunque, oggi 30 luglio, a poter dire: per il futuro di Como, Palazzo Cernezzi vuole questo, questo e quest’altro; la Como di domani, in Comune, la vedono così, così e così; a fine mandato la città assomiglierà a questo.
Si dirà: vabè, chissenefrega, basta che sistemino gli asfalti e le aiuole e va bene. Per carità, ogni punto di vista è del tutto legittimo, questo incluso. E non è affatto da escludere che un’ipotetica maggioranza di comaschi la pensi così. Ma è per questo che una città si articola su più livelli di analisi e percezione: il mitologico cittadino, facebook, i giornalisti convivono negli stessi spazi ma non sono la stessa cosa. Non hanno la stessa funzione.
Tornando al dunque, ormai persino la stessa realtà di fatto nega che sia ormai possibile governare Como come un buon padre di famiglia: l’allure ormai mondiale che sprigiona questa città (talvolta persino incomprensibilmente) non può essere più derubricato a simpatico folklore o relegato nella categoria “che figata”.
Perché se é vero che Dolce&Gabbana hanno scelto Como non certo in base a chi governa Palazzo Cernezzi, così come Jennifer Aniston, Boldi, De Sica e le altre decine di personalità di fama globale difficilmente avranno chiesto il colore politico della giunta, la dimensione ormai planetaria che sta assumendo il capoluogo non può più annegare nel metro d’asfalto, nella buca, nell’aiuola, nel posto auto.
La politica non può essere spettatrice o – peggio, pur non essendo certo a quel punto – trasformarsi in bituminosa castrazione di un’anima che sta prorompendo quasi con violenza da terra e cielo.
Certo, è assolutamente necessario che un Comune si occupi sempre più di buche, aiuole e anche posti auto; ma per questo servono assessori competenti e infaticabili, non si può piegare un’intera macchina al piagnisteo sul ciuffo d’erba. Non è più il tempo.
Siano sempre più verdi i ciuffi d’erba, siano sempre meno le buche. Siano dunque sempre più i tecnici o i politici specializzati. Ma ciò che ora si deve chiedere a chi comanda – oggi a Mario Landriscina – è di indicare un orizzonte più vasto, vasto e blu come il lago e non (solo) come le strisce di un parcheggio: eppure proprio questo, finora, non si è percepito.
Non si è intuita la direzione in cui si vuole mandare la città: città turistica o città del commercio? Città del cinema e della cultura o città con 4 concertini a fine estate? Città della mobilità sostenibile, di respiro europeo, o città incagliata nel micragnoso conteggio di stalli e stallazzi? Città della musica? Città della seta? Città degli affari?
Che città vuoi, Mario? Con quali orizzonti? Con quali partnership? Con quale visione? Con quali finanziamenti? Cercati dove, come?
Che città vuoi tu, centrodestra? Cosa pensate di fare, come pensate di agire per raggiungere il modello che ora dovete necessariamente svelare, lasciando le pattine e la vestaglia dei premurosi nonni di tutti e al di là della prospettiva-parcometro?
Non si è udito nulla di percepibile, finora. Alzando lo sguardo dal parcometro, si vede ancora soltanto un parcometro. Non basta.
Tempo ce n’è ancora, in abbondanza. Ma scorre velocemente. E’ come l’estate: ti innamori ed è già finita.
Parlate, è ora.
4 Commenti
Basta arrivare al “promuoverne lo sviluppo” che già non ci siamo..
E della situazione degli asili nido comunali nessuno ne parla.
Quanti bambini ci sono in lista di attesa, che non hanno avuto nessuna indicazione per un futuro inserimento? Le graduatorie sono pubbliche e non ci si domanda come mai così tanti bambini non verranno presi. Perché per il personale che è andato in pensione non è stata prevista per tempo la sostituzione? Che scelta politica c’è? i servizi alla persona sono un costo eccessivo per le casse comunali questa è cosa nota a tutti, ma almeno si abbia il coraggio di dare risposte chiare e trasparenti. Il lavoro oggigiorno è un bene prezioso e chi ce l’ha è bene che se lo tenga stretto. E poi si dice che gli italiani hanno pochi figli!!!
La città di Como è dei cittadini che vi risiedono e che pagano tasse e tributi per consentire l’efficiente erogazione dei servizi essenziali.
Compito istituzionale di ogni comune è quello di rappresentare la propria comunità, di curarne gli interessi e di promuoverne lo sviluppo (articolo 3 del testo unico enti locali)
Sebbene la participazione alle elezioni amministrative -a causa della disaffezione indotta dalla grave incapacità della politica di risolvere i problemi concreti della comunità- sia stata negli anni sempre più minoritaria (sicché le attuali forze politiche di maggioranza e di opposizione sono espressione di minoranze delle minoranze), l’indirizzo politico è dato dal sindaco e dalla sua giunta in conformità al programma presentato agli elettori, non certo dai giornalisti la cui funzione è essenzialmente quella di fare informazione nell’interesse generale, né dalle esigenze dei marchi di moda o di quelle degli attori ospiti temporanei della città.
Un cittadino non mitologico.
W l’asfalto allora!