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Insubria, la protesta per gli atenei chiusi da un anno: “Lo Stato faccia pace con se stesso, trovi un modo per riaprire”

“Bisogna che lo Stato faccia pace con sé stesso e che si trovi una soluzione per quanto riguarda la riapertura degli Atenei dopo la chiusura che ormai perdura da quasi un’anno”.

La destra universitaria comasca torna ad alzare la voce per la situazione che riguarda nello specifico l’Università dell’Insubria ma ovviamente il mondo accademico in generale, bloccato in gran parte dall’emergenza sanitaria.

“Gli studenti universitari pagano centinaia e centinaia di euro fra libri, retta e supporti di tipo digitale necessari per poter proseguire gli studi universitari – afferma Valerio Colombo responsabile di Azione Univerisitaria Como e Studente dell’Università degli Studi dell’Insubria – la situazione sta divenendo davvero pesante e non possiamo pensare che gli studenti possano in alcun modo proseguire attraverso questa metodologia l’università, così come la scuola dovrebbe essere al primo posto delle agende dei Governi, o quantomeno considerata fra le priorità, invece accade tutto il contrario è un’anno che è tutto chiuso e quando pare ci sia la possibilità di una riapertura si torna subito indietro e questo è assolutamente sintomatico di un disinteresse quantomai presente all’interno dello Stato”.

I riflessi della chiusura delle università sono molteplici e il dito è puntato sul un governo che, secondo Azione Universitaria, ha fatto poco o nulla per favorire una riapertura di corsi, lezioni, esami.

“E’ del tutto evidente che ci troviamo in una fase di acuta discrasia da parte dei Ministeri competenti e quindi da parte di uno Stato che abbandona i giovani e li emargina disinteressandone – sottolinea Andrea Matteri, anch’egli studenti all’Insubria e componente di Azione Universitaria – Come è chiaro nelle bozze girate del Next Generation Eu che vede destinato ai giovani solo le briciole, inizio ad avere il legittimo dubbio che qualcuno possa pensare che per noi l’emergenza non ci sia stata e non ci sia ancora, è assurdo che i giovani non siano stati neanche ascoltati e non siano stati coinvolti tanto nella gestione delle scuole quanto nella gestione degli atenei”.

“Forse se qualcuno leggesse i dati dell’abbandono scolastico e universitario che sono fra i più alti dell’Unione Europea parliamo di circa 600.000 giovani fra i 16 e i 24 anni secondo i dati della Cgia di Mestre, qualcuno che siede nei palazzi Romani e non solo si metterebbe la mano sulla coscienza e sul cuore portando avanti e proponendo politiche serie a riguardo”, aggiunge Matteri.

Nella speranza di una ripartenza, la conclusione è netta: “L’unico virus che può diffondersi con scuole e atenei chiusi è solo la mancanza di cultura e l’assenza di socialità fra noi giovani e questo noi non possiamo accettarlo”.

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2 Commenti

  1. Servono poco i controlli di sicurezza, la fascia di giovani asintomatici tra 14 e 25 anni sono quelli che portano il virus nelle famiglie con le conseguenze che ben tutti conosciamo, dovranno pazientemente aspettare usando le tecnologie che fortunatamente ci sono sino alla fine dell’emergenza per poi riprendere in tutta tranquillità.

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