La parrocchia di Rebbio si erge imponente, come un maniero che sorveglia il quartiere con i sotterranei carichi di tesori segreti. Scendendone le scale, calano le luci e appaiono bagliori dorati di ricami su stoffe leggere. Il ritmo lo danno le macchine da cucire a pedali e l’andirivieni di aghi scintillanti.
Il laboratorio gratuito di cucito Karalò è un progetto della parrocchia di Rebbio nato da un desiderio di don Giusto della Valle e tramutato in realtà a gennaio 2019 dalle volontarie Marilù Sansica, Adele Fabiano e Clara Cerantola, ex insegnante di disegno per stampa del Setificio di Como.
“Lo scopo è quello di formare allievi da avviare a una professione – spiega Marilù Sansica – o semplicemente offrire nozioni utili alla vita di ogni giorno. I fondi per poterlo tenere in vita arrivano dai mercatini che abitualmente facciamo dove rivendiamo oggetti donati alla parrocchia”.
Il laboratorio è aperto a tutti, conta 12 iscritti di cui solo uno italiano.
“L’arte del cucito attrae poco gli italiani – continua – e chi vuole farne un mestiere si rivolge a istituti scolastici specializzati. Un peccato però, è un sapere che andrebbe appreso a prescindere dal lavoro scelto”.
Karalò significa sarto, un nome che le tre volontarie hanno scelto dopo aver incontrato Chieikh Gueye, un ragazzo del Gambia approdato in parrocchia dopo un difficile periodo trascorso tra strada e dormitori.
SFOGLIA GALLERY (Carlo Pozzoni ph)
“In Gambia– racconta Chieikh – molti uomini scelgono la professione di sarto. Ho imparato tutto da mio zio: da piccolo passavo ore ad osservarlo in mezzo alle stoffe, perso tra ago e filo. Ne rimasi affascinato e decisi che quella sarebbe stata la mia professione”.
Ma il lavoro scarseggia e così Chieikh decide di raggiungere l’Italia, inseguendo il sogno di realizzarsi nel suo lavoro.
“Creare un abito – racconta con il sorriso di un bambino che illumina il suo volto da trentenne – e poi vederlo avvolgere una persona è una gioia che tutti dovrebbero provare”.
Uno stile, il suo, che richiama terre lontane.
“La moda africana – spiega – ha innumerevoli sfaccettature che variano da Paese a Paese. In Gambia si usano colori caldi e freddi con tagli di sartoria che non sottolineano in maniera eccessiva le forme femminili. Gli uomini utilizzano prevalentemente caftani con tonalità prevalentemente chiare”.
La moda africana ha affascinato gli stilisti di tutto il mondo. “Si tratta di influssi e rivisitazioni – racconta azionando il pedale della macchina da cucire – sono creazioni che hanno unito stile occidentale e africano. La moda è un regno affascinante dove le fusioni danno vita a uno sguardo differente, dove un accessorio può rivoluzionare la visione d’insieme”.
Le mani di scorrono in automatico lungo i tessuti che a poco a poco prendono forma.
“Seguo l’istinto – spiega sorridendo – qui sto imparando a lavorare in maniera più professionale partendo da un progetto, che poi diventa modello prima e prodotto finito dopo. Amo davvero questo mestiere e sto studiando per poter essere in grado di confezionare qualsiasi tipo di abito. Il mio sogno? Creazioni innovative con influssi provenienti dalla moda tradizionale africana”.