Di fronte al calo delle nascite la via più semplice è quella di chiudere alcune scuole. Ma è anche la scelta più intelligente? Riteniamo che non lo sia, a partire dalla nostra lunga esperienza con i bambini e le loro famiglie. Specie a Como dove, oltretutto, mancano aree giochi, spazi per adolescenti, luoghi di aggregazione, ludoteche, piscine. La chiusura di alcune scuole renderebbe il quadro ancora più fosco.
Sembrerebbe quasi, ma il condizionale è pleonastico, che questa mancanza e queste chiusure siano espressione di un’assenza di pensiero di chi governa la città circa il proprio ruolo nella crescita dei cittadini più piccoli.
Questa assenza ci preoccupa perché da anni la pedagogia e la psicologia ci ricordano che un bambino per crescere non ha bisogno solo della famiglia ma che il contributo del quale si deve giovare per diventare grande lo trae anche dalle relazioni che si sviluppano in ambienti quali la scuola, il parco, l’oratorio, il campo sportivo, e così via.
Le scuole da anni hanno recepito questo messaggio. Hanno compreso che è bene affiancarsi alla famiglia nel far crescere un bambino, specie in alcune delicate fasi di passaggio evolutivo, e si sono attivate per individuare al loro interno spazi per promuovere competenze e rafforzare inclinazioni individuali, per intervenire sulle fragilità e sulla difficoltà anche attraverso l’adesione a progetti capaci di rispondere ai bisogni di una società che cambia.
Il disegno della scuola, ma diremmo anche il concetto stesso di scuola, si è quindi allargato e moltiplicato: non solo ore di lezione frontali ma anche laboratori che hanno visto insegnanti impegnati spesso al di fuori del proprio orario. Da qui la necessità di disporre di aule non solo per le lezioni. Una scuola aperta ed inclusiva, al passo con i tempi.
E soprattutto una scuola radicata in un preciso contesto territoriale la cui dimensione più adeguata è quella del quartiere. La scuola infatti è spesso il centro di un quartiere perché è il luogo dove si aprono le menti, si impara ad imparare, si conosce e ci si apre al mondo a partire dalle proprie radici.
Sopprimere una scuola vuol dire rinunciare rinunciare ad un luogo dove si formano pensieri, si costruiscono relazioni, s’imparano i principi del vivere civile, si sperimenta il valore della vita in società. Perché allora, chiediamo, non affrontare il problema del calo delle nascite discutendone collettivamente con tutti i soggetti coinvolti (genitori, insegnanti e dirigenti scolastici, sindaco e assessori, testimoni privilegiati dei quartieri…) per trovare insieme le soluzioni più adeguate con particolare attenzione ai bisogni dei bambini? Chiudere scuole è la strada più semplice ma, ripetiamo, la meno intelligente.
Paola Bernard e Nicoletta Pirotta
già direttrici di servizi comunali per la prima infanzia