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Como, i dimenticati delle Partite Iva. Fabio, Vanni, Mohamed, Aurelio: “I ristori? Solo buone intenzioni”

Abbiamo parlato spesso di alberghi chiusi, bar e ristoranti aperti a singhiozzo, negozi che devono affrontare mille restrizioni.

Questi però rappresentano solo la superficie di un’economia in grande difficoltà, sono coloro che il consumatore finale vede ogni giorno. Alle loro spalle, però, c’è molto di più. C’è un’intera categoria di intermediari, fornitori e collaboratori che hanno visto il proprio fatturato ridursi drasticamente o azzerarsi.

Così abbiamo voluto dare voce a loro, i dimenticati, le partite Iva che non si vedono ma ci sono e che in tempi normali rendono possibile ogni tipo di commercio e servizio.

Fabio Marinetti, tatuatore

Classe 1993, nome d’arte Foeh Tattoo, da 5 anni lavora presso lo studio Sinta Tatù di Como. Un 2020 drammatico per la sua categoria, per chi ha una Partita Iva e si è dovuto arrangiare con i pochi bonus concessi dal Governo come aiuti.

“Da inizio pandemia abbiamo lavorato in tutto circa 5 mesi, tra lockdown e zona rossa per noi è stata una grande perdita – spiega – gli aiuti non sono stati molti, io ho le mie spese e ho fatto fatica ma per fortuna non sono proprietario di uno studio. Quindi ho usufruito dei bonus per pagare tasse e altro, ma ho dovuto utilizzare anche altri soldi che avevo messo via come risparmi. Se non avessi avuto qualcosa da parte, non so come avrei fatto. Inoltre trovo assurdo che diano gli stessi aiuti anche a chi è proprietario di uno studio, ha molte più spese di me e quindi avrebbe dovuto prendere più soldi”.

E la crisi continua: la stagione migliore per i tatuatori è infatti quella primaverile, persa lo scorso anno e a rischio anche nel 2021. “Viviamo giorno per giorno perché non sappiamo cosa succederà – osserva – ma organizzarsi a livello economico e lavorativo è praticamente impossibile. Noi lavoriamo per lo più su appuntamento e ne abbiamo dovuti riprogrammare moltissimi. Inoltre, le persone non sanno se possono spostarsi dal proprio Comune per venire a tatuarsi e non vogliono rischiare eventuali multe, quindi molte rinunciano”.

E, in merito ai clienti persi, conclude: “Gli anni scorsi lavoravamo molto col turismo e i walk-in, ora invece questa clientela manca. E a dicembre 2020 il lavoro è calato del 50%. Ora stiamo cercando di riprogrammare gli appuntamenti dopo Pasqua, speriamo che le chiusure non si prolunghino”.

Vanni Slepoi, beverage

Dal 2003 Vanni Slepoi è un agente di commercio nel settore del beverage. E’ lui l’intermediario tra chi produce bibite, birra, vini, liquori e bar, ristoranti, pub e alberghi che li vendono al cliente finale. Chiuse completamente o aperte a singhiozzo ormai da un anno queste realtà, chi dipende strettamente da loro per il proprio guadagno è in grossa difficoltà.

“Ho perso parecchio in termini di fatturato – spiega Vanni – direi il 45% nel 2020 rispetto all’anno precedente. Per chi come me lavora a provvigione, la situazione è molto complicata perché i bar o sono chiusi o fanno solo asporto e lo stesso vale per i ristoranti che neppure in zona gialla possono tenere aperto di sera, quindi ordinano poco”.

Inoltre bisogna sottolineare che lo smartworking ha portato via un’importante fetta di clientela. “Io mi occupo prettamente del Lago Maggiore e come i colleghi del Lario ho lavorato bene durante l’estate – sottolinea – ad aver sofferto molto sono state città come Milano perché tutta la parte pranzi si è azzerata a causa dello smartworking”.

E conclude: “Personalmente come partita Iva lo scorso anno ho preso due bonus da 600 euro e due da mille euro. Ci ho fatto poco perché le spese, dal commercialista ai contributi Inps erano da pagare. Ad ogni modo sono convinto che con l’estate recupereremo qualcosa perché la gente ha davvero tanta voglia di uscire”.

Mohamed Abdellatif, tour operator

“Il nostro settore è in lockdown da febbraio 2020”. A parlare è Mohamed Abdellatif che dal 2006 lavora come tour operator in Partita Iva per un’azienda di Torino e opera nelle province del Nord della Lombardia, oltre che in Ticino.

“Da un anno le agenzie di viaggi sono completamente ferme – spiega Mohamed – perché, fatta eccezione per la breve pausa della scorsa estate, non c’è possibilità di viaggiare e soprattutto c’è totale incertezza per il futuro. Ciò rende ancora più impossibile fare il nostro lavoro perché, tradizionalmente, dal mese di ottobre si comincia a vendere il periodo natalizio e i mesi che portano a Pasqua mentre da gennaio in poi si vendono i pacchetti estivi”.

E l’incertezza ovviamente spinge le persone a non prenotare per paura che un peggioramento della situazione blocchi le vacanze e quindi sia impossibile riavere indietro i soldi impegnati. “Attualmente abbiamo i nuovi cataloghi per la stagione estiva ma nessuno prenota per la totale incertezza in cui viviamo – sottolinea il tour operator – il problema è che io e i miei colleghi se non vendiamo non guadagniamo. Personalmente sono in rosso, ho ricevuto solo i 2.600 euro di bonus nel 2020 ma sto vivendo con i risparmi che avevo messo da parte con fatica in questi anni ma non dureranno ancora a lungo. Tra le bollette, le tasse e le rate da pagare, la situazione è drammatica”.

Mohamed, che ha una compagna e una bimba a cui provvedere, è seriamente in difficoltà: “La mia zona di competenza normalmente fatturava 10 milioni di euro all’anno. Nell’ultimo anno questa cifra si è ridotta del 90% solo perché a febbraio 2020 erano già stati venduti molti pacchetti, altrimenti parleremmo del 100%”.

Aurelio Gatti, abbigliamento

“La necessità di vestirsi in questo momento è stata un po’ dimenticata”. Lo racconta Aurelio Gatti, a Como da 34 anni con la sua agenzia e la sua rete di vendita, composta da venti agenti di commercio, che distribuiscono linee di abbigliamento di marchi stranieri di gamma medio/alta nei negozi italiani.

“Ho iniziato negli anni Ottanta con Calvin Klein e oggi porto marchi stranieri evoluti ma non troppo conosciuti su tutto il territorio nazionale, ho agenti in ogni Regione – racconta Aurelio – il problema è che il primo lockdown ci ha fatto perdere circa il 40% del fatturato e un altro 12% circa durante la scorsa stagione estiva. Poi le continue chiusure a singhiozzo da novembre in poi non hanno aiutato e hanno influito pesantemente sulle vendite al dettaglio nei negozi”.

Aurelio però non si dà per vinto e combatte. “La situazione è così in tutta Europa, parlo con colleghi stranieri che stanno vivendo esattamente le nostre stesse situazioni. La differenza sta nei ristori: con quelli del nostro Governo non ci faccio nulla, soprattutto se li paragono a quelli di altri Paesi. Un collega in Germania, che ha dichiarato di aver perso circa il 40% del fatturato, ovvero 60mila euro, ha ricevuto dallo Stato 32mila euro di ristori. Così superi lo scoglio. I ristori italiani sono solo buone intenzioni”.

Aurelio però fa un’analisi più approfondita e che forse scontenterà qualcuno. “Personalmente non mi piango addosso, lavoro in questo settore da tanti anni e sono stato in grado di mettere da parte dei risparmi – sottolinea – chi non è riuscito a farlo e non riesce a superare un anno duro, forse aveva già parecchi problemi prima della pandemia. Quindi per quanto mi riguarda, tiro la cinghia e si va avanti”.

Filippini (Federagenti): “C’è chi ha detto basta e chiuso l’attività”

In provincia di Como sono circa 1.200 gli agenti di commercio, gli intermediari dei più disparati settori: dall’abbigliamento ai viaggi, la pubblicità o l’alimentare. Sono coloro che, con il turismo fermo, gli alberghi chiusi, i bar e i ristoranti a mezzo servizio e i negozi che vendono poco o nulla, hanno – se va bene – dimezzato i loro introiti.

I costi fissi invece, dal commercialista ai contributi, sono rimasti. “Ci sono settori che hanno sofferto molto più di altri – spiega Osvaldo Filippini, responsabile di Federagenti Como – quel che è certo è che il commercio nel suo complesso genera il 70% del Pil e gli intermediari sono in grossa difficoltà”.

A pochi giorni dal primo Decreto Sostegni del Governo Draghi, Filippini sottolinea: “La categoria ha grandi aspettative sui ristori ma per il momento non coprono le perdite causate dalla pandemia”.

E c’è chi ha detto basta. “Alcuni stanno sfruttando Quota 100 ma c’è chi sta cessando l’attività senza aver raggiunto i vent’anni di contributi per la pensione integrativa di Enasarco: significa che perderanno tutto quello che hanno versato e non la riceveranno”.

Tania Gandola e Stephanie Barone

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