“Non si può vivere così. Io faccio la guardia giurata in una centrale operativa, è un lavoro a turni, a volte rientro alle due del pomeriggio e invece di riposare devo chiudermi in casa, abbassare tutte le tapparelle, sperare che piova forte per avere un po’ di pace. È una prigione. Siamo ostaggi della musica e dell’indifferenza”. Alberta Manzella, abita da un paio d’anni a Rebbio, vicino al campetto dell’oratorio, gestito da Don Giusto della Valle parroco di Rebbio e Camerlata, ed è esasperata. Il suo post sfogo su Facebook nel gruppo “Sei di Rebbio se…” ha sollevato polemiche, ma anche aperto gli occhi su una situazione che, stando al suo racconto, va avanti da anni nel silenzio generale.
“Impianti stereo, urla e confusione continua”
“Il campo è aperto tutto il giorno, dalla mattina alla sera, ma il problema maggiore nasce quando viene affittato per tornei. Non solo arrivano decine di persone, ma anche casse acustiche enormi, impianti stereo, urla e confusione continua. Impossibile parlare, pensare o semplicemente guardare la televisione in casa propria”, racconta Alberta.
Una situazione che peggiora nei fine settimana, soprattutto la domenica. “È l’unico giorno in cui potremmo riposare, e invece viviamo un incubo. A volte vanno avanti fino alle 8 o addirittura alle 10 di sera, con musica assordante e fari accesi che illuminano a giorno le abitazioni circostanti”.
A nulla servono le chiamate alle forze dell’ordine. “Abbiamo provato a contattarle anche quattro o cinque volte in un solo pomeriggio, ma niente. Rispondono che ‘hanno le autorizzazioni’, come se bastasse questo a giustificare il caos. Nessuno viene a verificare, nessuno si prende la responsabilità di ascoltare i cittadini”.
La mancanza di dialogo è uno dei nodi più gravi. “Quando sono andata a parlare con Don Giusto, lui mi ha semplicemente detto di cambiare casa. Cioè, io che pago le tasse, lavoro, cerco solo un po’ di pace, dovrei traslocare perché qualcun altro vuole ascoltare musica a tutto volume? È surreale”.
“Non vogliamo la chiusura del campetto ma degli orari precisi”
La donna sottolinea che non è un caso isolato. “Molti altri vicini si sono lamentati. C’è anche un contadino che ha i campi confinanti: una persona educatissima, che vede il suo lavoro distrutto dai ragazzini che gli calpestano orto e piante per recuperare il pallone. Lui ha provato a dire qualcosa ma è stato insultato, hanno litigato pesantemente, non c’è più rispetto. E tutto ciò è ampiamente documentato: video, foto, mail inviate e rimaste senza risposta”.
Secondo Alberta, il problema non è l’attività sportiva in sé, né la presenza dei giovani. “Io non voglio la chiusura del campetto, ci mancherebbe. Basta un cartello, degli orari precisi, il divieto di portare musica ad alto volume e più rispetto. Rispetto per chi vive qui, per chi lavora, per chi studia. Mio figlio si è laureato lottando contro la musica che entrava da tutte le finestre e ora quando lavora da casa deve spostarsi da una stanza all’altra per cercare un angolo meno rumoroso. A fine mese farò un importante intervento per rimuovere un cancro endometriale, ho bisogno di riposo e tranquillità ma con questa situazione è impossibile”.
“Non vogliamo altro che un po’ di silenzio, un po’ di normalità”
A pesare è anche il clima tossico sui social, dove le sue parole sono state strumentalizzate: “Mi hanno accusata di razzismo solo perché ho scritto del campetto gestito da Don Giusto che accoglie immigrati ed emarginati. Ma io non ho mai parlato di etnia, il problema è il rumore, non chi lo fa. Il casino lo fanno tutti, italiani compresi”.
Infine, lancia un appello alle istituzioni e alla comunità: “Servono regole chiare, applicate e fatte rispettare. Non vogliamo altro che un po’ di silenzio, un po’ di normalità. Nessuno può sentirsi intoccabile solo perché rappresenta la Chiesa. A causa di questa situazione sto attivamente cercando un’altra casa, mi dispiace molto perché qui stavo bene ma ormai ho raggiunto il limite”.
La versione di Don Giusto
Secondo Don Giusto, responsabile dell’oratorio di Rebbio, la situazione sarebbe molto meno allarmante di quanto segnalato da alcuni residenti. “Dipende dai punti di vista”, dichiara contattato, sottolineando come spesso a dare fastidio sia semplicemente la vivacità di un quartiere giovane: “C’è chi vorrebbe che il quartiere fosse una casa di riposo“.

A suo avviso, le attività che si svolgono al campetto, tra tornei, momenti di socializzazione e preghiera, offrono ai ragazzi un’alternativa sana alla strada. “Meglio che giochino a pallone in un luogo protetto piuttosto che vadano in giro”, spiega. Don Giusto ammette che a volte arriva qualche telefonata di lamentele, ma le considera episodi isolati, affermando che molti anziani del quartiere, al contrario, sarebbero contenti della presenza dei giovani.
Ha anche precisato che “quando la musica è troppo alta intervengo personalmente per dire di abbassarla”, negando quindi qualsiasi intenzione di ignorare il disagio dei residenti.