A Como, tra sushi, involtini primavera e samosa, trovare il piatto esotico in grado di soddisfare pressoché ogni fantasia è facile.
La diaspora proveniente dal Medio Oriente ha da tempo portato con sé tanti piccoli ristoranti dove è possibile gustarsi un kebab, piatto di origine turca e diffuso dal Nord Africa fino all’Asia orientale.
Ma per quanto questo sia una forma di fast food “halal”, permesso dall’Islam, i “kebabbari” di Como hanno fatto scelte diverse sulla vendita di alcol, vietato invece dalla religione.
Murat Yilmaz è il titolare del “Turkiye” che si affaccia su via Garibaldi. All’interno non c’è traccia di birre o alcolici. La scelta dell’uomo sta tra il mistico e il pratico.
“Nell’Islam consumare, vendere e trarre profitto dall’alcol è vietato – spiega Murat, in Italia da 12 anni – ma non vendiamo alcolici perché, in altri ristoranti in cui ho lavorato, è capitato che senzatetto o sbandati venissero per comprare della birra a poco. Finivano per fare a botte”.
La scelta di Murat è quindi prevalentemente imprenditoriale: “Siamo in uno dei punti più eleganti della città. Vogliamo lavorare con persone gentili. Ai soldi fatti con la vendita di alcol preferiamo lavorare senza stress”. Di fondo, però, rimane una convinzione morale per Murat: “Ognuno fa quello che vuole ma se vendi birra a persone con problemi non le aiuti”.
Non molto distante “AL80”, in piazza Matteotti, Hussein Ashfaq ha fatto scelte diverse per il proprio negozio. In vetrina, la scritta in arabo “halal” si accosta a una grafica che riporta le marche di birre disponibili. A pranzo, il negozio è pieno di turiste con eleganti hijab e uomini di passaggio per un boccone.
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“In effetti vendere birra non è halal” esordisce Hussein, 51 anni, originario del Pakistan, marito di Maria Elena, le cui ragioni, come per Murat, hanno a che fare con il buon senso oltre che al senso del commercio.
“Da una parte offriamo cibo halal ai nostri clienti musulmani – spiega l’uomo, indicando il tabellone con il menù – negli anni abbiamo però visto che gli italiani, specie la sera, arrivano ubriachi dai locali qui vicino, portandosi da bere da fuori. Tanto vale quindi avere della birra a disposizione in negozio”.
Concludendo, mentre serve alcuni clienti in fila, Hussein spiega che la scelta di vendere alcolici non ha tanto a che fare con l’aperta opposizione a precetti religiosi quanto con la mediazione personale tra regole e vita: “Vivo qui da 23 anni, mia moglie è italiana come lo sono tanti nostri clienti. Quando abbiamo aperto non vendevamo birra e poi abbiamo deciso diversamente. Quando sei a contatto con una cultura diversa, la testa, il modo di vedere le cose cambiano”.
2 Commenti
Una bella schiacciata con porchetta Halal e siamo tutti fratelli. Fratelli d’Italia!
Qualcuno che si adatta a dove vive esiste..